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L'Isis incombe su Baghdad e invia rinforzi a Kobane

L'Isis incombe su Baghdad e invia rinforzi a Kobane

"10mila jihadisti vicino capitale". Minacce a S.Pietro e Twitter

NEW YORK, 13 ottobre 2014, 10:55

Redazione ANSA

ANSACheck

Un 'immagine di Baghdad © ANSA/EPA

Un 'immagine di Baghdad © ANSA/EPA
Un 'immagine di Baghdad © ANSA/EPA

 Le forze curde di autodifesa resistono ma l'Isis non molla la presa e minaccia anche Baghdad.
    A Kobane, nel Nord della Siria, la battaglia continua strada per strada, ma lo Stato islamico non riesce a sfondare ed è costretto a inviare rinforzi, spostandoli dalla sua 'capitale', Raqqa. Una sconfitta sarebbe un disastro sul piano della propaganda jihadista, sul cui fronte l'Isis ora ha persino dichiarato guerra a Twitter, affermando che i suoi dirigenti 'devono morire'. Di più, nell'ennesima provocazione contro "Roma" e "i crociati", lo Stato islamico ha fatto sventolare la sua bandiera nera su piazza San Pietro. Almeno sulla copertina dell'ultimo numero della sua rivista online 'Dabiq'. Il vessillo nero sull'obelisco di San Pietro è accompagnato dal titolo "Crociata fallita", evidentemente con riferimento ai raid della coalizione a guida Usa contro l'Isis. Sul terreno, la minaccia mortale dello Stato islamico incombe anche sulla regione occidentale irachena di al Anbar, dove oggi il capo della polizia è rimasto ucciso in un'esplosione avvenuta a Ramadi, e sulla stessa Baghdad, attorno alla quale - secondo fonti locali citate dal Telegraph e da al Arabiya - l'Isis avrebbe radunato "fino a 10mila combattenti", pronti a sferrare un attacco alla capitale. Nel mirino, secondo il capo di Stato maggiore interforze Usa, generale Martin Dempsey, ci potrebbe essere l'aeroporto della capitale irachena. Di recente, ha rivelato alla Abc, hanno tentato di conquistarlo e sono stati respinti dagli attacchi degli elicotteri Usa. "Erano a circa 20 o 25 chilometri" dallo scalo, ha raccontato, aggiungendo che "se avessero avuto la meglio sull'unità dell'esercito iracheno sarebbero arrivati dritti all'aeroporto" e "non potevamo consentire che accadesse". Per questo Dempsey continua a insistere sulla necessità di un ruolo "più attivo e diretto" delle forze speciali americane, evocando un coinvolgimento americano sul terreno che tuttavia la Casa Bianca di Barack Obama continua ad escludere. A Kobane intanto, dopo aver conquistato il quartier generale delle forze di autodifesa curde (Ypg), i jihadisti non sono riusciti a conquistare la piazza centrale della cittadina.
    Questo anche grazie alle continue ondate di raid aerei condotti dagli Usa e alleati nella zona. Nel corso dell'ultima settimana, a Kobane e dintorni, sono stati almeno 50, ma ora sono diminuiti, perché gli obiettivi nel centro abitato sono diventati più difficili da individuare e colpire senza 'danni collaterali' e perché la zona è avvolta in una tempesta di polvere. "Stiamo facendo quello che possiamo attraverso gli attacchi aerei per far arretrare l'Isis", ha detto il segretario alla Difesa Usa Chuck Hagel, e "in effetti ci sono stati alcuni progressi in questo campo". Oggi la Bbc ha riferito peraltro che un "team di specialisti" formato da 12 militari britannici è in Iraq per addestrare i guerriglieri curdi: i soldati fanno parte dello Yorkshire Regiment e devono istruire le forze curde sull'uso delle mitragliatrici pesanti fornite dal Regno Unito.
    Finora, la resistenza ha perso circa 50 combattenti. Però "tiene bene", secondo quanto riferito da un rifugiato siriano che è riuscito a parlare con il fratello a Kobane. Tuttavia, ha aggiunto, "se continua così sono pessimista perché i peshmerga hanno bisogno di armi e munizioni. Uccidono molti banditi, ma (i jihadisti) ritornano sempre più numerosi". E un altro appello ad "evitare un massacro di civili" a Kobane è stato lanciato oggi dal segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon, preoccupato per "le migliaia di vite a rischio" a causa dell'assedio dei miliziani di al-Baghdadi. Ma per l'Isis quella di Kobane è "una battaglia cruciale", ha osservato il direttore dell'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) Rami Abdel Rahmane, sottolineando che "se non riescono a prenderla, sarà un duro colpo per la loro immagine".
   

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