In Italia terremoti disastrosi si ripetono ogni 20-30 anni e le catastrofi sono anche "colpa delle alterazione che l'uomo compie sul territorio". Per fronteggiare un quadro così severo serve una sola "grande opera", molto complessa ma indispensabile: "la messa in sicurezza degli edifici", materia che, peraltro, al di là delle parole, "non ha mai costituito una priorità per i governi succedutisi negli ultimi decenni". E' l'opinione del professor Gino De Vecchis, ordinario di geografia all'Università La Sapienza di Roma. "A un anno dal rovinoso terremoto che ha sconvolto un'estesa area appenninica dell'Italia Centrale - dice - è opportuno fare bilanci e riscontri, compresi quelli relativi alla valutazione del divario esistente tra promesse fatte subito dopo il sisma e quanto è stato realizzato. I risultati, vagliati con tale parametro, appaiono sconfortanti. Occorre tuttavia considerare che questo terremoto, simboleggiato da Amatrice, come suggerisce la definizione dell'United Nations Disaster Relief Organization, è stata una vera catastrofe, ovvero 'un evento concentrato nel tempo e nello spazio in cui una comunità è sottoposta a un grave pericolo ed è soggetta a tali perdite dei suoi membri, delle proprietà o beni tali che la struttura sociale è sconvolta ed è impossibile il raggiungimento delle funzioni essenziali della società' ".
Al di là dell'elevata intensità del sisma del 24 agosto dello scorso anno, lei, in relazioni al ripetersi di catastrofi, chiama in causa anche gli interventi selvaggi sul territorio. "E' evidente - risponde De Vecchis, che è anche presidente dell'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia - come la componente umana assuma un rilievo primario non meno importante della stessa energia devastante prodotta dall' evento naturale. Si può allora convenire con quanti affermano che tra le molte possibili cause adducibili all'incremento (per numero e per intensità) delle catastrofi naturali degli ultimi decenni sarebbero prevalenti quelle riferibili all' antropizzazione, quali, ad esempio, un'accresciuta pressione nello sfruttamento delle risorse ambientali o una maggiore occupazione di aree soggette ad un'alta pericolosità". Lei attribuisce alcune catastrofi legate non solo ai terremoti, ma ad una serie di concause, dai fattori climatici al rischio idrogeologico. "L'Italia, con una sismicità disposta pressapoco in un arco che va dalla Sicilia al Nord Est seguendo la dorsale appenninica - risponde De Vecchis - si annovera tra i Paesi europei più colpiti da catastrofi legate a terremoti, pur se questi non raggiungono le intensità più elevate.
Gran parte delle aree a maggiore sismicità è montana, e quindi molto 'sensibile' agli elementi climatici e particolarmente soggetta ai rischi idrogeologici. Non meraviglia che le zone dell'Italia centro-meridionale, dove si aggregano tanti fattori negativi, siano le più colpite da frequenti e differenti disastri. Sotto questo aspetto il 2016, con la successione di terremoti avvenuta in Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo, sommata alle avverse condizioni meteorologiche intervenute nella stagione invernale, ha rappresentato un esempio di come i disastri naturali possono sovrapporsi provocando una serie di sciagure con pochi paragoni nella recente storia del nostro Paese". Cosa intende, in relazione al rischio sismico, per perdita della memoria storica? "Se nell'Italia centro-meridionale si registra in media un terremoto rovinoso ogni 20-30 anni circa, nelle singole aree il tempo di ritorno è dell'ordine delle centinaia di anni. Intervalli così lunghi favoriscono la perdita di memoria storica, diffondendo la convinzione che i disastri non debbano più ripetersi, per poi riprendere, dopo ogni terremoto, a parlare di edifici antisismici, a fare i bilanci sui costi della ricostruzione, a piangere la perdita di vite umane". Infine, la sua convinzione della necessità di un'unica "grande opera". "L'unica soluzione - spiega il prof. De Vecchis - sarebbe la realizzazione di una vera e utile 'grande opera': mettere in sicurezza gli edifici iniziando da quelli a maggior rischio sismico. Sarebbe un intervento prolungato nel tempo e di sicuro complesso ma, non comportando vantaggi politici immediati, non ha mai costituito una priorità per i governi succedutisi negli ultimi decenni, che si sono sempre limitati a generiche promesse".