(di Franco Nicastro)
(ANSA) - PALERMO, 18 GIU - Per secoli le cave di pietra
pomice di Lipari hanno raccontato una storia di tradizioni,
bellezze, fatica e vocazione industriale della maggiore delle
isole Eolie. Ora è tutto finito. Le cave sono chiuse da anni
dopo il fallimento della società che le gestiva mentre i
capannoni, gli impianti e i magazzini di stoccaggio sopravvivono
in uno stato di abbandono. Che futuro si può pensare per quelli
che la letteratura - da Alexandre Dumas a Curzio Malaparte - ha
descritto come i "tesori di pietra"? Dopo anni di silenzio si
comincia a discutere su una strada di salvezza e di richiamo
turistico: fare delle cave e dei resti di un'industria scomparsa
un museo minerario diffuso.
A dare a questa idea un respiro culturale è il Centro studi
eoliano sostenuto da associazioni e istituzioni che hanno
lanciato una campagna di proposte, non solo di denunce, sulla
scia di un servizio del Corriere della Sera. Tutto parte dal
bisogno di salvare almeno la memoria della pomice che con
l'ossidiana è stata una grande ricchezza per Lipari. Quella
pietra bianca leggerissima prodotta dall'attività vulcanica è
servita per l'edilizia e come polvere sottile è stata impiegata
anche nell'industria cosmetica. Nel tempo la pomice ha dato vita
così a un commercio molto sviluppato se è vero che già nel
Settecento Lipari era conosciuta come "l'immenso magazzino che
fornisce la pomice a tutta l'Europa". La pietra bianca è servita
anche a costruire la cupola del Pantheon.
Di questa tradizione come delle tipicità naturali
dell'arcipelago siciliano l'Unesco ha certamente tenuto conto
quando nel 2000 ha proclamato le isole Eolie patrimonio
dell'umanità. Ha riconosciuto, oltre alla bellezza del sito, i
"peculiari aspetti vulcanici delle isole".
La storia dice che la pomice è stata certo una grande
ricchezza ma ricorda anche che la sua dimensione industriale ha
sopportato costi umani per le scarse tutele sanitarie dei
cavatori e per il sistema di sfruttamento che concessionari e
commercianti avevano imposto.
Nel progetto di museo di cui si discute ci sarebbe spazio
anche per la tecnica e per la custodia delle tradizioni. Tutto
servirebbe a dare una mano al turismo, che già nelle Eolie si
combina felicemente con l'industria del cappero, la pesca, il
vino. Da dove cominciare? Un'ipotesi di intervento dovrebbe
salvaguardare prima di tutto "pontili ed edifici con scelte
conservative promosse dal ministero della cultura e dalla
Regione", dice Antonio Calabrò, presidente di Museimpresa che
riunisce oltre cento tra soci e sostenitori istituzionali di
imprese grandi, medie e piccole. "Memorie e culture d'impresa -
aggiunge - possono essere dinamici asset di crescita economica e
sociale".
Nel confronto, che ormai ha fatto diventare la memoria della
pomice un caso nazionale, sono intervenuti in tanti. Il
presidente emerito della commissione italiana per l'Unesco,
Gianni Puglisi, ha ipotizzato la realizzazione a Lipari di
un'area museale di archeologia industriale alla stregua di
quella già attiva in Svezia, a Falun, sulle "spoglie" di una
antica e prestigiosa miniera di rame.
Il presidente del Touring club italiano, Franco Iseppi, ha
appoggiato il progetto del museo con lo sguardo rivolto al
turismo. E Andrea Cancellato, presidente di Federculture, ha
lanciato un appello perché le strutture legate alla pomice
vengano considerate non solo come "archeologia industriale" ma
testimonianze di "vita vissuta e di modellazione del paesaggio a
opera dell'uomo". Anche dalla Regione e dall'assessore regionale
ai beni culturali, Alberto Samonà, arrivano segnali positivi per
l'istituzione di un Parco geominerario. (ANSA).