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Mafia: 17 arresti, decapitato un clan di Palermo

Mafia: 17 arresti, decapitato un clan di Palermo

Le accuse di associazione mafiosa, estorsione, tentato omicidio, rapina e illecita detenzione di armi. Ritrovato il libro mastro del pizzo

PALERMO, 10 novembre 2017, 15:20

Redazione ANSA

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Un pizzino trovato dai carabinieri di Palermo - RIPRODUZIONE RISERVATA

Un pizzino trovato dai carabinieri di Palermo - RIPRODUZIONE RISERVATA
Un pizzino trovato dai carabinieri di Palermo - RIPRODUZIONE RISERVATA

I carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo stanno eseguendo l'arresto di 17 persone accusate di associazione mafiosa, estorsione, tentato omicidio, rapina, illecita detenzione di armi e munizioni e fittizia intestazione di beni. L'inchiesta, coordinata dalla dda, è la prosecuzione di operazioni condotte nei confronti degli affiliati del mandamento mafioso di Porta Nuova negli ultimi sei anni e ha permesso di "decapitare" il clan di Borgo Vecchio. Grazie alle intercettazioni e alla rivelazioni di due "pentiti" sono stati individuati assetti e dinamiche della cosca.

Dall'indagine è emerso il ruolo di vertice nel clan di Elio Ganci. Nel 2015, certi di essere arrestati dopo la collaborazione con la giustizia di Francesco Chiarello, i fratelli Domenico e Giuseppe Tantillo, allora reggenti della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, avrebbero ottenuto il consenso dai vertici de mandamento di Porta Nuova per la designazione del loro successore individuato, secondo gli inquirenti, proprio in Ganci. Ganci è stato, scarcerato nel novembre di due anni fa dopo aver scontato una condanna per mafia ed estorsioni.

Il boss, secondo gli inquirenti, si sarebbe servito di Fabio Bonanno, Salvatore D'Amico, Luigi Miceli e Domenico Canfarotta, delegati a curare il sostentamento economico dei familiari dei detenuti, le attività estorsive ed il controllo della piazza di spaccio nel territorio di competenza mafiosa, attività con cui la mafia si finanzia e con cui controlla il territorio. Nel corso dell'inchiesta sono state sequestrate anche diverse attività commerciali riconducibili a cosa nostra, intestate a prestanomi attraverso le quali il clan riciclava il denaro sporco.

Il racket del pizzo continua a essere una delle principali forme di guadagno di Cosa nostra. Lo dimostra l'ultima indagine della dda di Palermo che ha portato oggi a 17 arresti. L'inchiesta, condotta dai carabinieri e coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi, ha portato al ritrovamento del cosiddetto "libro mastro" del pizzo, una sorta di documento contabile con l'indicazione delle vittime e del bilancio delle estorsioni. Sono stati ricostruiti inoltre 14 taglieggiamenti a imprenditori e commercianti della zona del Borgo Vecchio, nel cuore della città, costretti al versare a cosa nostra somme di denaro per evitare ritorsioni che, in qualche circostanza, sono avvenute e sono state documentate dai carabinieri. Alcune vittime, sentite dai militari dell'Arma, hanno confermato di aver pagato il pizzo e le pressioni subite.

L'inchiesta dei carabinieri di Palermo che oggi ha portato all'arresto di 17 tra affiliati e capi del clan mafioso del Borgo Vecchio ha permesso di individuare i responsabili di una sparatoria avvenuta la sera del 4 marzo 2015, nella piazza centrale del quartiere. Coinvolti Giuseppe e Domenico Tantillo, all'epoca ai vertici della cosca, e i componenti della famiglia di Francesco Russo che, dal 2006 al 2008, aveva retto l'organizzazione e intendeva, di fatto, riprenderne le redini. Le due fazioni si affrontarono in piazza a colpi di pistola. La gravità e il clamore suscitato dalla vicenda - è emerso dall'inchiesta - avrebbe spinto Paolo Calcagno, boss alla guida del mandamento di Porta Nuova che controlla Borgo Vecchio, a intervenire immediatamente nei confronti di Russo a cui fu detto di rispettare le gerarchie, pena l'allontanamento dal quartiere. L'inchiesta ha portato anche a individuare gli autori di una rapina avvenuta, la sera del 26 giugno 2011, in un'abitazione del rione Borgo Vecchio, in cui la vittima fu ferita da colpi d'arma da fuoco: il reato non era stato "autorizzato" e, quindi, i responsabili erano stati poi aggrediti fisicamente dagli esponenti del mandamento mafioso di Porta Nuova e dagli stessi vertici della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio.
   

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