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Responsabilità toghe,24 anni fa il no del giudice Livatino

Magistrato ucciso dalla mafia, rischio paralisi o conformismo

(ANSA) - PALERMO, 20 SET - "Non esiste, si può dire, atto del giudice e più ancora del pubblico ministero che possa dirsi indolore. Ogni giudice, quindi, nell'atto stesso in cui si accingesse alla stipula di un qualsiasi provvedimento, non potrebbe non domandarsi se per caso dal suo contenuto non gliene possa derivare una causa per danni. E sarebbe quindi inevitabile ch'egli si studiasse, più che di fare un provvedimento giusto, di fare un provvedimento innocuo". A scrivere queste riflessioni sulla responsabilità civile dei magistrati, ancora oggi di straordinaria attualità, era il giudice Rosario Livatino, di cui ricorre domani il 24/esimo anniversario dell'uccisione. "Come possa dirsi ancora indipendente un giudice che lavora soprattutto per uscire indenne dalla propria attività - aggiungeva - non è facile intendere. Né si dica che le parti raramente ricorrerebbero a questa possibilità. La facilità con cui, specialmente in certe regioni, si ricorre all'esposto contro il giudice, anche per i più ingiustificati motivi, autorizza la previsione che una riforma del genere aprirebbe subito un ampio contenzioso". Riguardo all'ipotesi di responsabilità solo per le ipotesi di colpa grave, Livatino osservava: "La colpa del giudice, se c'è, è sempre grave per definizione, data dall'importanza degli interessi sui quali egli dispone. L'altro effetto perverso, che potrebbe essere indotto dalla riforma, sarebbe quello di indurre il giudice al più rigido conformismo interpretativo: per cautelarsi contro il pericolo di seccature".
    "Quando poi la controversia toccasse affari od interessi di dimensioni eccezionali - proseguiva - ogni scelta diverrebbe veramente paralizzante: si pensi alla decisione di un tribunale fallimentare se far fallire o no un grosso complesso industriale od una catena di società legata magari a centri di potere politico". Secondo il giudice agrigentino, assassinato il 21 settembre del 1990 da un commando mafioso, "gli effetti più devastanti di una proposta del genere si avrebbero in materia penale. Se l'organo dell'accusa sa che le sue iniziative investigative possono costargli, quando non ne seguisse una condanna, una causa per danni, ci si può chiedere se sarà mai più possibile trovare un pretore od un pubblico ministero che di sua iniziativa intraprenda la persecuzione di quei reati che per tradizione o per costume o per altro nel passato erano raramente perseguiti. Ci si può chiedere ancora se si troverà un giudice che, in presenza di un reato che consente ma non impone la cattura, avrà l'ardire di imprigionare, ad esempio, un bancarottiere per qualche miliardo, quando rifletta alle conseguenze che gliene potrebbero derivare se, per caso, costui venisse assolto. Questo - concludeva Livatino - è l'effetto perverso fondamentale che può annidarsi nella proposta di responsabilizzare civilmente il giudice". (ANSA).
   

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