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Teatro: Maresco rilegge 'Lucio' a un anno da morte Scaldati

Graffiante visionarietà regista, bella interpretazione di Cuticchio

(ANSA) - PALERMO, 9 APR - "Lucio" di Franco Scaldati ha
debuttato ieri sera al Teatro Biondo di Palermo, per la regia di
Franco Maresco, e con Mimmo Cuticchio nel ruolo del
protagonista. E' stato un incontro singolare tra sensibilità
diverse: la tenerezza eterea del testo di Scaldati, a cui il
Biondo ha reso omaggio a meno di un anno dalla scomparsa (che
cade domenica prossima, quando a fine spettacolo saranno
proiettati alcuni filmati dell'autore palermitano morto a 70
anni), la graffiante visionarietà di Maresco e la potenza
scenica del più grande cuntista di tutti i tempi, Mimmo
Cuticchio.
Mediare questi talenti così diversi non deve essere stato
facile e a tratti viene fuori una fatica estetica, come una
pentola a pressione che vorrebbe esplodere e non lo fa. Lo
spettacolo si apre con un bellissimo cono di luce immerso nella
musica nostalgica di una fisarmonica. E' l'inizio della poesia
cui Scaldati ha sempre affidato le sorti del mondo e del suo
stesso destino. "Lucio" è un inno alla luce, alla scrittura
teatrale, ai commedianti che sono attori e al tempo stesso
spiriti, fantasmi, "della stessa sostanza di cui sono fatti i
sogni". E tutti sanno quanto Scaldati aveva appreso ad amare
Shakespeare, e a tradurlo in siciliano. E al tempo stesso
ricordano l'attesa, il non senso, la dolcezza e l'abbandono dei
personaggi di Beckett, un'umanità reietta e mortificata che non
ha altre ancore di salvezza se non i sogni.
Il testo non vedeva una messa in scena da più di vent'anni e,
in realtà, è un testo più letterario che teatrale. Maresco ne ha
dato una versione di grande eleganza, ma piuttosto cupa, che
scivola verso il cinema nel finale, con filmati che illuminano
di una luce livida paesaggi palermitani; ma non c'è dubbio che
per Maresco l'opera di Scaldati sia un affresco incompiuto che
parla della morte. Diventa così uno spettacolo esistenzialista
ed è convincente, e in questa linea recitano Melino Imparato e
Gino Carista, campioni di umanità rassegnata a vivere sotto gli
strali della sfortuna, con gli occhi sempre rivolti al cielo e
alle stelle.
In questa cornice si inserisce il protagonista, un inedito
Mimmo Cuticchio, magnetico come sempre, che solo nel finale
prende vigore, lui che è Prospero o Liolà, stavolta si cala nei
panni di un sognatore. E' come un mago a cui è stata tolta la
bacchetta magica, ma è comunque bravissimo a rendere quella
tenerezza che era la grande arma del poeta-sarto.
Si replica fino a domenica. (ANSA).

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