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Donne-stereotipi, linguaggio abbatte muri

Giulia Giornaliste all'Ateneo di Cagliari su media e dintorni

di Maria Grazia Marilotti

"La disinformazione è una emergenza sociale, il giornalismo deve riconquistare il suo ruolo culturale e pedagogico". Così Susi Ronchi, presidente di Giulia Giornaliste Sardegna, ha aperto il dibattito che si è svolto  presso la Facoltà di Studi Umanistici dell'Ateneo cagliaritano sul tema: "La preda e il cacciatore: stereotipi sociali, i linguaggi dei media". Un incontro che segna il battesimo ufficiale di Giulia Giornaliste Sardegna, nata a maggio e impegnata nel combattere le discriminazioni con una serie di strumenti, a partire dal linguaggio di genere, e assicurare un'informazione corretta che dia voce a tutti.

Al centro del confronto il potere che hanno le parole di incidere sulla realtà e gli effetti distorsivi e anche devastanti degli stereotipi culturali e sociali. "L'informazione ha un altissimo valore sociale, veicola messaggi, scuote le coscienze, è un potentissimo strumento di orientamento delle masse - ha spiegato Susi Ronchi - il trinomio istruzione-formazione-informazione è inscindibile". Roberta Celot, responsabile di Ansa Sardegna e vice coordinatrice Giulia Sardegna, ha parlato di "Linguaggio di genere come valore e verità", a partire dal "riconoscersi", la parola "magica" per azzerare ogni discriminazione.

"Se io riconosco chi ho di fronte a me, attribuisco a questa persona un valore intrinseco, le do una dignità anche di ruolo - ha sottolineato la giornalista - Il linguaggio è la chiave, ma è necessario soppesare le parole sin dalla semplice declinazione del genere maschile e femminile, perché noi siamo le parole che usiamo. La responsabile dell'Ansa in Sardegna ha ricostruito - con dovizia di esempi, da Susanna Agnelli che voleva essere chiamata "il senatore" a Nilde Iotti che accettò di esser definita "la presidente" solo quando l'Ansa declinò il suo ruolo al femminile - l'evoluzione culturale e sociale dell'Italia che ha visto le donne accedere progressivamente a posizioni tradizionalmente considerate "maschili", fino all'approvazione da parte dell'Accademia della Crusca delle desinenze al femminile, ancora inconsuete, testimonianza della vitalità della lingua che si adegua ai mutamenti della società, con la consapevolezza che "le parole costruiscono la nostra realtà".

Le Giulie sono salite in cattedra assieme ai docenti del Corso di laurea di Scienze della comunicazione ed esperti, in occasione delle iniziative legate all'inaugurazione dell'anno accademico. Voci a confronto sui diversi ambiti legati al linguaggio, filosofia, deontologia, psicologia, buone prassi nelle redazioni e nell'amministrazione pubblica. Usare le giuste declinazioni e offrire una corretta rappresentazione della realtà è dunque un esempio di corretto giornalismo nonché strategico per il tema delle pari opportunità e del riequilibrio di genere. Solo così si possono evitare titoli infelici e fuorvianti come "omicidio passionale, lei aveva un altro', o "folle di gelosia".

O di "celebrare le sportive per il loro 'lato B' anziché per i trofei conquistati", come ha sottolineato Federica Ginesu nel suo intervento nel quale ha ricordato come una legge del 1981 sul professionismo sportivo releghi le atlete allo status di dilettanti. O ancora rendere invisibili registe talentuose come ha evidenziato Paola Cireddu nel dare voce insieme a Pia Brancadori alla prima donna regista della storia, Alice Guy, che definiva la regia "il lavoro più adatto alle donne". Non va meglio alle chef, che nel racconto di Alessandra Addari sono oscurate dai colleghi. "Stereotipi e discriminazioni che affondano le radici in abiti culturali sessisti e creano squilibri all'origine della violenza", ha argomentato lo psicologo Renato Troffa.

Introdotto da Elisabetta Gola, coordinatrice del Corso di laurea, e coordinato dalla giornalista Sandra Sallemi (La Nuova Sardegna), l'incontro ha dato voce anche a Francesca Ervas (Metafore di genere), Riccardo Porcu (Gender inequality nella comunicazione pubblica), Luca Lecis (Dal pregiudizio alla scrivania. L'evoluzione del giornalismo femminile). "Ci sono ancora forti resistenze culturali più che linguistiche nell'uso dei termini al femminile - ha ribadito Roberta Celot - Non sono appassionata alle dispute sui suffissi: dateci una 'A' una 'Essa' una 'Ice', sono per la libertà di espressione. Le donne non passeranno alla storia per come vengono chiamate nei molteplici ruoli conquistati dopo anni di battaglie civili. Ma il fatto di riconoscerle in quanto tali - semplicemente donne - restituisce verità".

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