Barbarossa, con il dialetto racconto il quotidiano

In gara al Festival con Passame er sale, "storia della mia vita"

di Claudia Fascia ROMA

 "A Sanremo torno con una canzone che mi rappresenta: è la storia della mia vita, di mia moglie, dei miei figli". Luca Barbarossa, che da tempo si divide tra musica e radio (con la conduzione di Radio2 Social Club su Rai Radio2, "mi piace cambiare"), per il suo nono festival (uno lo ha vinto nel 1992) ha scritto "Passame er sale", un brano in dialetto. "Né romanesco, né romanaccio, è romano. Quello che utilizziamo tutti i giorni, che viene dal basso, dal quotidiano", tiene a rivendicare il cantautore prestato alle onde medie che ha chiesto all'attrice Anna Foglietta di accompagnarlo nella serata dei duetti. "A Barbaro', ma che me fai canta' a Sanremo?", mi ha risposto quando gliel'ho proposto. Il dialetto romano, pigro, sornione, familiare, come prima di lui hanno fatto Lando Fiorini, Gabriella Ferri, Romolo Balzani, bandiere della canzone popolare della capitale. "Però Passame er sale non è uno stornello vero e proprio - spiega Barbarossa -. Conosco l'arte dello stornello e la rispetto, ma in questo caso ne prendo le distanze: questa è una ballad più vicina a Leonard Cohen, con sonorità internazionali".

Come tutto il nuovo album di inediti, Roma è de tutti, che oltre al brano sanremese include altre 10 canzoni tutte in dialetto e che esce il 9 febbraio (Margutta '86/Sony Music), in piena bagarre sanremese. "Ho accettato la sfida di fare qualcosa legato alla tradizione - racconta ancora Barbarossa -, però con un'attualità sonora e interpretativa. Roma è de tutti è disco di oggi, che non tradisce le radici, ma guarda al presente e al futuro e osa attraverso il dialetto, dove non sempre si arriva". E cita Pino Daniele e il lavoro fatto con il napoletano: "nessuno come lui. Con il dialetto ha sperimentato il rythm'n'blues, ha formato intere generazioni". Lui, intanto, con Passame er sale, ha già conquistato il Premio Lunezia, "per quell'artistico senso di riscatto nei confronti della Canzone Romana, densa di gloria e di seminali personalità, che per la prima volta ottiene pregio e considerazione al Festival di Sanremo". "Un onore per me". Un amore per la sua città, che arriva da lontano, che ha caratterizzato la sua produzione, soprattutto degli inizi, con Roma Spogliata e Via Margutta. Una Roma amata, criticata, osservata attraverso scorci di vita, di storie quotidiane che diventano universali. "E' la capitale del più bel Paese del mondo, crocevia di unicità, patria spirituale e politica, è teatro di tante storie, un simbolo mondiale, per questo 'è de tutti'. Ma siamo tutti consapevoli che il momento non è dei migliori e proprio ora non possiamo permetterci di perdere la sfida su Roma. Non mi sento di puntare il dito contro qualcuno in particolare, contro il politico di turno. Hanno sbagliato tutti, non ultimi i romani stessi. Serve consapevolezza per far tornare la città ciò che è stata". Oltre ai piccoli gesti quotidiani, Roma è de tutti - in cui compaiono duetti con Fiorella Mannoia e Mannarino - racconta anche le periferie, come in Madur, morte accidentale di un romano, in cui "ancora va giranno chi vo la razza pura", con l'attualità che supera la fantasia. "Forse chi parla in politica di razza bianca, si riferisce al pesce", prova a scherzare Barbarossa, che poi torna serio: "la società è cambiata, i pregiudizi devono essere superati". Spunta ance un testo scritto con Luigi Magni, il regista scomparso nel 2013. "E' un testo che custodivo come un tesoro, l'avevamo scritta nei primi anni '80, doveva cantarla Alida Chelli ad un festival. Io avevo sognato di affidarla a Gabriella Ferri, ma già non faceva più dischi".
   

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