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Ferrario, come Levi alla fine della tregua.
(ANSA) - ROMA, 19 OTT - Come Primo Levi, la societa' contemporanea vive la fine di una tregua e l'avvento di una guerra, quella contro il terrorismo, anche se si va al cinema ogni sera e i supermercati sono sempre affollati: e' l'Europa delle contraddizioni, figlia del crollo del muro di Berlino, dei postnazisti e dei postcomunisti.
Non e' un documentario, non e' un film su Levi, ne' sulla sua prigionia, ne' sull'Olocausto: e' 'La Strada di Levi', un road movie senza attori ma con personaggi, in concorso alla Festa del cinema di Roma firmato da Davide Ferrario e sceneggiato insieme a Marco Belpoliti.
Arriva in sala il 19 gennaio per evitare i film di Natale, ma soprattutto per non farlo coincidere con la giornata della Memoria. Ieri sera, applausi, partecipazione, sala affollata per questo 'viaggio' nell'Europa e nella storia, lo stesso itinerario percorso in dieci mesi in un treno merci da Primo Levi quando torno' a casa, dopo la prigionia ad Auschwitz e che lui racconta nella 'Tregua'. Lo sguardo e' lo stesso di Levi, voltato all'indietro, la leggerezza quella del viaggiatore e delle immagini che scorrono, l'approccio e' ispirato a una necessaria ambiguita'.
Niente giudizi o sentenze, parlano i fatti e le storie.
''Siamo stati abbastanza aperti, esordisce Ferrario, cercando di praticare una sana ambiguita' per evitare di emettere giudizi.
E un nostro amico che ha visto il film ci ha detto che sembrava un film anticomunista...''.
''In ognuno di noi,sono le parole di Belpoliti, convivono nazismo e comunismo.
E' la storia che entra nelle persone e non la si puo' buttare via''.
Tutto e' molto complesso: ''Non siamo alle prese con una fiction perche' la storia e' un flusso continuo''. Le parole di Levi, la storia di oggi, il volto dello scrittore e le facce di persone comuni che raccontano i tempi moderni passando per l'est europeo, i lager, i gulag, i grandi sistemi del 900.
''Noi, proseguono Ferrario e Belpoliti, abbiamo seguito un doppio binario: la sceneggiatura e' sia di Levi che nostra.
Una stratificazione che si vede quando passiamo per la Bielorussia: da un lato, descriviamo la riconciliazione di Levi con la natura ma, dall'altro, facciamo capire come si e' ancora in presenza di un regime''.
Il film mostra una vecchietta bielorussa che, davanti alla telecamera, e' come se ''accendesse una macchina'', spiegando come si stia bene nel suo Paese e quanto sia bravo il presidente Lukashenko. Poi la troupe (''e qui c'e' un pezzo di fiction'') ha subito il vaglio di un ''responsabile distrettuale ideologico'' , affrontando il capitolo della proprieta' collettiva e dei kolkhoz..
I cambiamenti e il peso del passato: la parola passa a un contadino che pronuncia una sola ma illuminante battuta.
''Prima la mucca la dovevamo portare fuori in orari precisi, ora invece no...''. Si toccano tanti paesi, si raccontano tante storie, come dal vetro di un finestrino sfilano Polonia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Romania, lUngheria, Slovacchia, Austria, Germania e ultima tappa l'Italia. Ed e' in Germania che forse si vivono le emozioni piu' forti in questa sorta di parallelismo con Levi: i raduni neonazisti e le interviste ai loro protagonisti (''Non devono pagare i nostri figli, noi non abbiamo colpe'') sono accompagnati da quanto scrisse lo scrittore fermandosi nella stessa terra: ''Ci sembrava di avere qualcosa da dire, enormi cose da dire a ogni singolo tedesco ...Sapevano, 'loro' , di Auschwitz, della strage silenziosa e quotidiana...?.
''E' stato difficile, spiega Ferrario, accedere ai raduni neonazisti ma e' stato importante mostrarli''. Il viaggio termina con i toni sommessi di Mario Rigoni Stern che legge una piccola poesia dedicata da Levi a lui, 'Mario', e a Nuto (Nuto Revelli, ndr): ''...Come me , hanno tollerato la vista di Medusa, che non li ha impietriti.
Non si sono lasciati impietrire dalla lenta nevicata dei giorni''.
Le parole di Levi ai suoi amici e, oggi, ''noi come lui viviamo una tregua''. (ANSA)
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