La poesia di un tempo di passaggio, quello dell'
adolescenza, la realta' misteriosa e le regole di un piccolo
villaggio collinare del nord dell' Egeo, il ritmo della vita
scandito dalle chiamate alla preghiera che il fedele deve
osservare: il regista turco Reha Erdem apre la festa
internazionale del cinema di Roma con un film lirico e
delicato, 'Bes vakit' ('Times and Winds'). Un' altra tappa
importante di quella rinascita del cinema turco, di cui di
e' gia' discusso a Cannes, e che trova in questo film un
momento alto e poetico: lo scorrere dell' esistenza viene
filtrato attraverso l' esperienza, gli occhi e i sentimenti
di tre ragazzini alle prese con l' inquietudine legata alla
fine dell' infanzia e all' inizio di un tempo nuovo, una
sorta di risveglio come recita una poesia leit motiv del
lavoro di Erdem scritta dallo stesso cineasta. E lui dopo la
proiezione, ha spiegato il senso di 'Bes vakit' annunciando
che il suo prossimo film parlera' invece d' amore e ha
rivelato di aver coltivato con il Premio Nobel, Ohran Pamuk,
l' idea di realizzare un progetto cinematografico non legato
pero' ad alcuna delle opere del grande scrittore. ''Ho
voluto raccontare - ha esordito il regista nell' incontro
con i giornalisti - un periodo di crescita. L' adolescenza
e' stata una fase molto importante della mia vita e della
mia formazione. E' il momento in cui l' infanzia muore''.
Come accade ai tre ragazzini protagonisti, ognuno con i suoi
pensieri, con la propria ribellione contro la famiglia e
contro rigidi schemi di comportamento tra cui quello del
padre che domina la vita dei figli di generazione in
generazione: la loro rabbia si consuma lentamente in un
rapporto oscuro e affascinante con una natura aspra e
bellissima. Uno medita di uccidere il padre con i sistemi
piu' impensati, usando uno scorpione, svuotando le capsule
necessarie alla salute del genitore, anche spingendolo da
una rupe. Il ragazzo si isola sempre di piu', si allontana
sofferente, ferito e offeso perche' il padre che e' anche l'
imam del villaggio, gli preferisce il fratellino. Il secondo
ragazzo e' un pastorello: patisce la condizione di orfano e
sopporta stoicamente angherie e soprusi. L' ultimo, quello
in cui maggiormente si identifica il regista, e'
perdutamente innamorato della sua maestra ed esprime la
propria devozione in ogni piccolo gesto come quello di non
lavarsi le mani dopo averle tolto una spina da un piede.
Anche lui fara' i conti con il disinganno quando scoprira'
che proprio suo padre spia la giovane bella insegnante da
una finestra. E infine c'e' una bambina che sintetizza la
condizione della donna nel piccolo villaggio. Lei va a
scuola ma deve prendersi cura del fratello poco piu' di un
neonato e dunque e' costretta a misurarsi con l' infanzia
che finisce bruscamente e naufraga in incombenze domestiche
e pesanti oneri familiari. Tutto e' raccontato con grande
tenerezza, cadenzato in cinque parti come i momenti del
giorno: alba, mattino, mezzogiorno, pomeriggio e sera. Nulla
sembra accadere, la vita scorre inframmezzata dalla
preghiera del muezzin, ma tutto invece accade in un
caleidoscopio di rancori, emozioni e sentimenti. (ANSA)