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CRV - Riforma Par Condicio, intervento del Presidente del Consiglio regionale del Veneto Ciambetti

PressRelease

CRV - Riforma Par Condicio, intervento del Presidente del Consiglio regionale del Veneto Ciambetti

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Responsabilità editoriale di CONSIGLIO REGIONALE VENETO

Oggi a Padova

28 gennaio 2019, 18:03

CONSIGLIO REGIONALE VENETO

PressRelease - Responsabilità editoriale di CONSIGLIO REGIONALE VENETO

Politica - "Riforma Par Condicio, a Padova un confronto sulla Legge, con interventi del Presidente Ciambetti e di rappresentanti Ordine Giornalisti, AGCOM, CORECOM e Osservatorio Elettorale"

(Arv) Venezia, 28 gen. 2019   -  Si è tenuto oggi a Padova un convegno, promosso dal Consiglio Regionale del Veneto, dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee Legislative delle Regioni e delle Province Autonome, e dall’Ordine dei Giornalisti del Veneto, per stimolare una riflessione sulla Legge n. 28/2000, nota come ‘legge sulla par condicio’.

Il Presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, ha portato i saluti istituzionali e ha ringraziato i relatori presenti.

“Ringrazio in particolare - ha esordito Ciambetti - l’avvocato Gualtiero Mazzi, presidente del Corecom del Veneto, i professori Paolo Feltrin, dell’Università di Trieste, nonché alla guida dell’Osservatorio elettorale del Veneto, e Mario Morcellini, qui presente come Commissario Agcom ma, non dimentichiamolo, già Prorettore alle Comunicazioni Istituzionali dell’Università la Sapienza di Roma, dove ha anche diretto, dal 2010 al 2016, il CoRiS - Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale oltre ad essere stati Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione nello stesso Ateneo capitolino”.

“La Legge sulla par condicio - ha continuato il Presidente del Consiglio - risale nella sua stesura al 2000, ma ha la sua genesi negli anni Novanta del secolo scorso, in un momento molto particolare, quando la Politica dovette fare i conti con la realtà della dirompente comunicazione televisiva, non più riservata al monopolio pubblico ma aperta al privato: l’antefatto, non dimentichiamolo, fu il ruolo svolto da televisioni e stampa negli anni di Tangentopoli, con rubriche e trasmissioni televisive anche con conduttori non giornalisti che iniziarono a raccontare la politica anche con toni esasperati, non mediati nemmeno dell’etica giornalistica e, comunque, in maniera inedita per lo scenario italiano. La Televisione si impose come mezzo principe mentre, contestualmente, emergeva nell’opinione pubblica, già di per sé indignata a causa di Tangentopoli, forte il bisogno di una sorta di moralizzazione e calmierazione nella spesa e nei costi della politica che, per altro, aveva raggiunto livelli impressionanti e tali da giustificare e alimentare ulteriormente l’indignazione della cittadinanza.  Era chiaro a tutti che la spesa enorme e i costi della propaganda e informazione elettorale avrebbero messo fuori causa chi disponeva di risorse limitate”.

“Ancora nel 1993 - ha proseguito Ciambetti - la Corte Costituzionale ricordava  ‘l'imperativo costituzionale’ per  cui, cito testualmente, ‘il diritto all'informazione, garantito dall'art.21 della Costituzione, è qualificato e caratterizzato, innanzi tutto, dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie, cosicché il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali e politici contrastanti’. Per garantire questo diritto, dunque, bisognava porre dei paletti precisi, che impedissero un accesso privilegiato al mezzo televisivo vuoi nelle trasmissioni di informazione, vuoi nell’acquisto di spazi pubblicitari. Il vero fattore innovativo fu il nuovo uso del mezzo televisivo e delle tecnologie allora disponibili. Nella composizione della Legge, poi, fu tenuto conto della necessità di evitare che il politico uscente da una carica istituzionale si trovasse in una condizione di superiorità rispetto agli sfidanti che non potevano godere delle agevolazioni e facilitazioni di chi poteva invece sfruttare i mezzi informativi della Pubblica Amministrazione: da qui nasce l’art. 9 della legge 28/2000, al centro del dibatto odierno”.

“La norma dunque - ha concluso Roberto Ciambetti - aveva una ragione ma mi chiedo cosa avrebbe detto il professor Livio Paladin, a cui è intitolata questa sala, una figura eminente di giurista, accademico e soprattutto ‘civil servant’, davanti all’attuale scenario, diversissimo da quello del 2000, che non teneva conto della forza devastante della rivoluzione tecnologica a cui abbiamo assistito in questi due decenni: la Par Condicio è stata travolta dai tempi, è obsoleta e come tutte le leggi che non tengono conto dello scenario operativo reale rischia di far più danni dei benefici per i quali era stata pensata. Oggi, gli unici che devono rispettare la par condicio sono le televisioni locali e gli Uffici Stampa degli Enti pubblici, in virtù dell’art.9 della Legge n. 28/2000. Questa è la considerazione centrale dell’evento odierno: capire lo scenario in cui ci troviamo ad operare e capire come sia necessario abrogare o modificare la vecchia norma. Abrogare la norma non significa però rinunciare ai valori e al principio del pluralismo delle fonti.  Significa scrivere una norma che, nel rispetto di quel principio, nel rispetto anche di una calmierazione dei costi, sia adatta alla nuova realtà. Ringrazio il Coordinamento degli Uffici Stampa dei Consigli regionali costituiti in seno alla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative e delle Provincie autonome italiane per aver con forza presentato all’attenzione del mondo politico questo tema che noi, come amministratori pubblici, avvertiamo e sentiamo come importante. La palla, tecnicamente, deve ora passare al legislatore nazionale a cui anch’io mi appello, affinché ponga nella sua agenda questo tema delicatissimo”.

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