Un incontro perfetto, con il sinistro che si stampa più volte sul volto dell'avversaria, la canadese Caroline Veyre, quasi irrisa perché affrontata con le braccia abbassate, altro che stare in guardia. Sembrava Ray 'Sugar' Robinson, invece era Irma 'Butterfly' Testa, che vincendo il suo match dei quarti di finale si è assicurata a Tokyo quella medaglia, la prima storica della boxe italiana ai Giochi, a cui puntava fin da Rio. In terra carioca l'aveva fermata soltanto un sorteggio estremamente sfortunato, che nei quarti le aveva opposto un'avversaria in quel momento superiore, la campionessa del mondo Mossely (poi oro per la Francia). Nel frattempo la Farfalla di Torre Annunziata è maturata, è diventata ancor più decisa anche nella vita e ora è pronta per prendersi ciò che ritiene (in realtà, non solo lei) di meritare. Ci ha sempre creduto, fin da quando, ancora bambina perché aveva solo 11 anni, seguendo la sorella Lucia intraprese in una terra non facile (è di Torre Annunziata) la strada dell'impegno quotidiano, dei sacrifici e della fatica, anziché prendere scorciatoie che l'avrebbero portata chissà dove. Invece la prese sotto la sua ala Luciano Zurlo, vero maestro della nobile arte, e ne ha fatto una campionessa. "Per me è stato più di un allenatore - il racconto di Irma -, perché è una di quelle persone che cammina per strada e prende i ragazzi più scostumati, che non vanno a scuola, che fanno le marachelle o non hanno motivazioni nella vita e li porta in palestra. Fa ancora così, sapeste quanta gente ha tolto dalla strada".