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Nuova Europa, post-socialista ed euroscettica

Fenomeno transitorio o minaccia reale?

29 maggio, 13:00
(di Igor Guardiancich, dell' International Labour Office, Governance and Tripartism Department (Ginevra).

L'euroscetticismo nell'Europa post-socialista spazia da pura propaganda (il premier ungherese Viktor Orbán che compara l'Ue all'Unione Sovietica), alla non-partecipazione a iniziative comuni (Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia che respingono le quote per i migranti), fino a provocazioni vere e proprie, come le minacce di rappresaglia del governo polacco dopo la rielezione di Donald Tusk a presidente del Consiglio europeo. Se la retorica anti-europeista decisamente c'è, solo un'analisi sistematica può tuttavia rivelare se i partiti euroscettici rappresentino un fondato pericolo per la Unione.

L'euroscetticismo post-socialista diverge da quello occidentale: la sua origine, come scrive il sociologo Attila Ágh, è la mancata convergenza tra gli standard di vita a dieci anni dall'adesione alla Ue. Il divario si è ampliato e l'Est europeo è relegato a filiale che fornisce manodopera qualificata a basso costo alle economie occidentali. Tale "colonizzazione" ha scisso i paesi post-socialisti in regioni modernizzate e sottosviluppate e le intenzioni di voto riflettono fedelmente questa divisione: i partiti euroscettici duri vengono sostenuti dai perdenti assoluti (disoccupati, lavoratori poco qualificati), mentre quelli morbidi dai perdenti relativi (la classe media impoverita). I primi si oppongono alla Ue tout court, i secondi solamente ad alcune politiche comunitarie.

L'influenza dei criteri di Copenaghen per far parte della Ue (inclusa la qualità della democrazia) svanisce dopo l'adesione di un paese all'Ue. Essa non viene soppiantata né dal meccanismo dello "stato di diritto", avviato in gennaio 2016 contro la Polonia a causa della crisi costituzionale, né dalle sanzioni che ne derivano, le quali richiedono l'unanimità. Né il parlamento europeo esercita un controllo adeguato: pur di non perdere voti, il gruppo del Partito popolare europeo non ha mai sanzionato il partito di Orbán, l'Associazione dei giovani democratici (Fidesz).

L'assenza di controllo legittima l'euroscetticismo post-socialista dell'Europa orientale, i cui obbiettivi solo saltuariamente coincidono con gli interessi del Front National francese o della Lega Nord (migranti, islam, euro). Partiti come Fidesz o il polacco Legge e giustizia (PiS) favoriscono infatti le politiche legate al mercato unico e non disdegnano le sovvenzioni europee per agricoltura e industria, fonte inesauribile di favoritismo clientelare. Allo stesso tempo deplorano però qualsiasi ingerenza di Bruxelles nei loro affari interni. Nonostante la retorica, l'euroscetticismo orientale ha più a cuore il potere in casa che le politiche dell'Unione. La popolazione è relativamente filoeuropea e svariati sondaggi (Eurobarometer, Pew Research Center) mostrano che l'insoddisfazione nei paesi post-socialisti si concentra sulla politica nazionale e non su quella comunitaria. Secondo Eurobarometer, due terzi dei cittadini della Ue credono sia più difficile gestire l'apparato istituzionale comunitario dopo l'allargamento ai dieci paesi dell'Est. La teoria politica avvalla tali preoccupazioni. Tuttavia, anche se è aumentata l'eterogeneità nelle preferenze dei singoli paesi, ciò non significa che l'impatto sulla capacità decisionale dell'Unione sia stato negativo. Nell'Ue non stiamo assistendo a una paralisi legislativa e, anche quando i paesi post-socialisti si coalizzano contro gli altri Stati membri, ben raramente riescono a bloccare l'iter legislativo.

Se i nuovi Stati membri sono troppo piccoli e litigiosi per avere un'influenza decisiva nel Consiglio europeo, i partiti euroscettici hanno ancora meno successo nel Parlamento, perché i tre principali gruppi euroscettici emersi dalle elezioni del maggio 2014 non collaborano spesso. L'Europa della libertà e della democrazia diretta (Effd), dominata dall'Ukip, non è riuscita ad accordarsi con gli euroscettici radicali e centristi, guidati dal Front National, i quali hanno istituito nel 2015 il gruppo l'Europa della libertà (Enf). Inoltre, nessuno dei due gruppi si è associato con gli estremisti Jobbik o il greco Alba Dorata, che appaiono ancora tra i "non-inscrits". Tale frammentazione rappresenta un ostacolo formidabile per i partiti euroscettici post-socialisti, che a loro volta stentano a trovare un linguaggio comune.

A livello di governi, inoltre, quello ceco e slovacco sono solo moderatamente euroscettici. Il Partito socialdemocratico ceco scivola gradualmente verso posizioni anti-europee e l'euroscettico Partito nazionale slovacco è solo un junior partner nella coalizione di governo. Anche nei casi di euroscetticismo esplicito, la cooperazione è comunque una questione di pragmatismo, come dimostra la recente elezione di Donald Tusk, che è stata pura realpolitik. Il polaccio PiS, che si trova nel gruppo Conservatori e riformisti europei, ha suggerito un altro candidato a causa della animosità tra Tusk e Jaroslaw Kaczynski, ma l'ungherese Fidesz, alleato più fedele di PiS, ha invece confermato Tusk, per tutelare il quieto vivere in seno al Ppe.

In breve, anche se la stampa occidentale è ossessionata dall'euroscetticismo post-socialista, esso è troppo morbido, frammentato e orientato verso la politica interna per costituire una minaccia per l'Ue. Segnala però un diffuso senso di insoddisfazione nell'Europa centro-orientale. Ciò dovrebbe preoccupare i politici europei: intensificando il conflitto tra centro e periferia, ad esempio attraverso un'Europa a più velocità, potrebbe portare alla radicalizzazione e l'unificazione degli euroscettici, creando un'asse fra quelli post-socialisti e quelli dell'Europa occidentale. (ANSA).

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