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In Europa centro-orientale in corso una erosione democratica

Crescono populismo e corruzione che Ue non riesce a frenare

20 febbraio, 16:50
(ANSA) - TRIESTE, 20 FEB - Dopo vent'anni di consolidamento democratico, l'Europa post-socialista sta attraversando una diffusa crisi "nella" democrazia, che è sfociata in una vera e propria crisi "della" democrazia in Ungheria e Polonia. Come spiega il politologo ungherese Béla Greskovits, da un lato si tratta di svuotamento democratico, ovvero di un generalizzato declino nel coinvolgimento della società civile nelle pratiche della democrazia: scarsa affluenza alle urne, scarsa identificazione coi partiti politici. Dall'altro si registra invece un "arretramento": fenomeno che per Greskovits implica sia la radicalizzazione di gruppi all'interno della popolazione politicamente attiva, sia il rifiuto parziale dei principi democratici da parte dell'élite.

Se lo svuotamento democratico denota una crisi "nella" democrazia, l'arretramento indica una crisi "della" democrazia. Ungheria e Polonia vengono spesso citate dai politologi come esempi di deconsolidamento democratico. Entrambe dimostrano che i partiti populisti, una volta insediatisi al governo, hanno un numero limitato di opzioni per l'adempimento delle loro promesse elettorali. Una strada praticabile è combinare politiche che rispondano alla volontà degli elettori (misure restrittive per immigrati, tasse su multinazionali, contenimento dei programmi assistenziali ecc.) con misure atte a limitare lo scrutinio pubblico e la competizione politica.

Sono chiari esempi di deriva autoritaria che l'Alleanza dei giovani democratici (Fidesz) in Ungheria abbia riscritto la Costituzione, rimuovendo buona parte dei controlli democratici, e che Diritto e giustizia (PiS) in Polonia abbia limitato l'autorità della Corte costituzionale e collocato il Pubblico ministero e la televisione pubblica sotto diretto controllo governativo.

Tuttavia l'arretramento democratico non necessita di misure palesemente antidemocratiche, ma si manifesta attraverso il degrado della giustizia, la scarsa indipendenza dei media, un processo elettorale poco trasparente, appalti pubblici pilotati e così via. In tutti questi ambiti, il deterioramento è sotto gli occhi di tutti in Europa centro-orientale, generando massicce proteste contro la limitazione dei diritti civili in Polonia (PiS aveva caldeggiato il divieto totale del diritto all'aborto) o contro la depenalizzazione di alcuni reati collegati alla corruzione ed all'abuso di ufficio in Romania.

La spiegazione di tale deriva è da ricercarsi nel fallimento di fondamentali "ancore della democrazia", che stabilizzano e consolidano un sistema politico, quali la funzione responsabilizzante dei partiti ed il ruolo dell'Unione europea, in qualità di garante dello sviluppo economico e della stabilità politica.

Il problema con l'Ue è duplice. Primo: i vincoli economici - imposti implicitamente dal Semestre europeo, o esplicitamente attraverso i memorandum con Ungheria, Lettonia e Romania - hanno creato gravi problemi di legittimità ai rispettivi governi. Da un lato, l'austerità ha ristretto lo spazio di manovra economica e, per non essere travolti dai populisti, i partiti tradizionali hanno dovuto adottare una retorica nazionalista, anti-capitalista ed euroscettica. Dall'altro lato, per effetto della crisi, buona parte dei governi in carica sono stati prematuramente estromessi negli ultimi sette-otto anni: Borisov e Oresharski in Bulgaria, Sanader in Croazia, Gyurcsány in Ungheria e Godmanis in Lettonia, Boc in Romania e Radičová in Slovacchia, Pahor e Janša in Slovenia. L'estrema volatilità politica ha avuto un effetto paralizzante sui processi di riforma nella regione. La seconda questione è che l'influenza dell'Ue nella sfera politica si è rivelata minima: oltre a fornire regole e procedure sull'assetto meramente formale delle democrazie nell'Europa centro-orientale, l'Unione non è riuscita a frenare la corruzione dilagante, né ha sviluppato strumenti efficaci per contrastare l'appropriazione dello stato da parte di interessi privati. Lo sviluppo più preoccupante è la nascita di sistemi di partito di "brokeraggio corporativo": i processi di privatizzazione, le sovvenzioni comunitarie e gli appalti pubblici hanno infatti creato ampie opportunità di collusione tra governi ed élites imprenditoriali.

Le recenti indagini hanno coinvolto gli ex primi ministri rumeno Ponta, ceco Nečas, croato Sanader e sloveno Janša. In Slovacchia, lo scandalo Gorilla degli appalti pubblici ha ribaltato l'esito delle elezioni parlamentari del 2012. In Ungheria, la corruzione è così pervasiva, che alcuni personaggi di spicco di Fidesz hanno cominciato a criticare apertamente l'arricchimento repentino dei loro compagni di partito.

Purtroppo, la capacità dell'Ue di contrastare quelle coalizioni di governo coinvolte nello smantellamento di controlli istituzionali si è rilevata palesemente insufficiente.

I recenti capovolgimenti giudiziari (i processi contro Sanader e l'ex sindaco di Zagabria Bandić in Croazia, e contro Janša e vari cosiddetti "tajkuni" in Slovenia sono stati annullati, sospesi o posticipati), le insufficienti garanzie offerte agli informatori nei processi politici in Repubblica Ceca e Slovacchia, il limitato impegno nella lotta contro la corruzione in Bulgaria e Romania, nonché un sistema giudiziario screditato in Lettonia e Lituania attestano le crescenti lacune nelle istituzioni nei paesi ex socialisti. In sintesi, i nuovi stati membri dell'Europa centro-orientale sembrano essere finiti in un cul-de-sac.

Svuotamento e arretramento democratici si rincorrono a vicenda, creando ulteriore disallineamento tra l'elettorato e i partiti politici. Ciò incoraggia le élites a continuare nella loro attività collusiva. L'incapacità dell'Ue di sanzionare tale comportamento crea terreno fertile per i partiti populisti, la cui strategia è di limitare le libertà civili e politiche in sede di attuazione dei loro irresponsabili piani di governo.

(ANSA).

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