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Guerra delle petroliere, Gb a Iran: è strada pericolosa

Si cerca via d'uscita dall'escalation, ma è scontro di parole

22 luglio, 19:22
Guerra delle petroliere, Gb a Iran: è strada pericolosa Guerra delle petroliere, Gb a Iran: è strada pericolosa

(di Alessandro Logroscino) (ANSA)  Per ora è uno scontro di parole, ma la tensione resta altissima sullo sfondo della 'guerra delle petroliere' innescatasi fra Iran e Gran Bretagna. Da una parte Londra, che proclama per bocca del ministro degli Esteri, Jeremy Hunt, "estremo disappunto" per il sequestro avvenuto ieri della Stena Impero, convoca l'incaricato d'affari iraniano per protestare, minaccia "risposte ponderate, ma forti", e mette in discussione la sicurezza dello Stretto di Hormuz per il commercio internazionale; dall'altra Teheran, che accusa il cargo britannico di aver violato le norme sulla navigazione speronando un peschereccio, invoca "la reciprocità" rispetto al fermo due settimane fa a Gibilterra del suo mercantile Grace 1 e, pur assicurando di non volere un conflitto, avverte di non aver alcuna intenzione di chinare il capo di fronte "al nemico, sia Saddam, Trump o la regina". In mezzo il resto del fronte occidentale, che prende le parti del Regno mentre gli Usa non cessano d'inviare moniti minacciosi alla Repubblica Islamica. Il botta e risposta si gioca a colpi di messaggi e di tweet, anche se non manca qualche contatto diretto alla ricerca della strada per provare a fermare l'escalation, come una telefonata fra Hunt e il collega iraniano Javad Zarif. Per ora, comunque, i toni rimangono da muro contro muro, al di là dell'appello alla "distensione" lanciato in serata dallo stesso capo del Foreign Office e degli abboccamenti con Teheran affidati dal presidente Donald Trump a intermediari come il senatore libertario Rand Paul, fra un annuncio di rafforzamento del contingente militare americano in Arabia Saudita e un'intensificazione dei pattugliamenti aerei sul Golfo. La petroliera Stena Impero, fermata ieri dai pasdaran della Guardia Rivoluzionaria iraniana nello Stretto con 23 uomini di equipaggio (tutti indiani, salvo un russo, un lettone e un filippino), è ora bloccata nel porto di Bandar Abbas, a differenza della Mesdar - battente bandiera liberiana, ma di proprietà anch'essa di una società armatrice britannica - rilasciata nelle medesime ore dopo un controllo. Hunt ne ha chiesto la liberazione immediata a Zarif, appoggiato, oltre che da Washington, da una presa di posizione ufficiale dell'Ue: bollandone il sequestro come "illegale e destabilizzante" e sostenendo invece che il fermo della Grace 1 sarebbe stato legittimo per via delle sanzioni europee imposte al commercio di petrolio verso la Siria. Ha quindi ribadito che Londra è pronta a reagire se Teheran non dimostrerà "con azioni, non con parole", di voler lasciare "una strada pericolosa". E infine ha ripetuto che le navi britanniche "saranno protette" nel Golfo, pur invitandole per ora a evitare la rotta di Hormuz. Per tutta risposta, il segretario del Consiglio iraniano per il discernimento, Mohsen Rezaei, ha contro-twittato: "Non vogliamo la guerra, ma non arretreremo di fronte al nemico, sia Saddam (Hussein), (Donald) Trump o la regina (Elisabetta)". Alle sue parole ha fatto eco il portavoce del Consiglio dei Guardiani, Abbas Ali Kadkhodaei, il quale ha apertamente citato "la regola della reciprocità nel diritto internazionale" come spiegazione dello stop imposto alla Stena Impero: facendo riferimento in sostanza a una ritorsione per il caso Grace 1, a dispetto dell'indagine ufficiale delle autorità giudiziarie iraniane sulle responsabilità attribuite all'equipaggio del cargo nell'asserito incidente con un'imbarcazione da pesca. Non solo, ma Teheran ha tenuto il punto anche nel braccio di ferro a più ampio raggio in atto con gli Usa. Per un verso, informando attraverso fonti militari di aver emesso a maggio e giugno due avvertimenti di attacchi nei confronti di altrettanti droni americani "aggressivi". Per l'altro, tornando a rivendicare l'arricchimento dell'uranio a uso civile come "un diritto", comune a tutti i Paesi firmatari del Trattato di Non Proliferazione: tanto più dopo l'uscita dell'amministrazione Trump dall'accordo sul nucleare con i 5+1 del 2015.

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