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Centenario Vittoria Nenni

Socialisti

Centenario Vittoria Nenni

Figlia leader socialista e testimone dei conflitti '900

ANCONA, 30 ottobre 2015, 21:48

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Cento anni fa, il 31 ottobre 1915, nasceva ad Ancona Vittoria Gorizia Nenni, terza delle quattro figlie di Pietro Nenni, storico leader del Psi e tra i fondatori della Repubblica Italiana: sarebbe morta non ancora ventottenne, il 15 o il 16 luglio 1943, nel campo di sterminio di Auschwitz, con il numero 31.635. Fin dal suo concepimento il suo destino di fu di vivere in situazioni di conflitto storico e politico. A partire dalla "Settimana Rossa", avvenuta circa un anno e mezzo prima della sua nascita ad Ancona, dove Nenni era direttore del periodico "Lucifero" e segretario della Federazione giovanile repubblicana. E dove venne arrestato e rinviato a giudizio con l'anarchico Errico Malatesta. L'infanzia e l'adolescenza di Vittoria, soprannominata Vivà, furono segnate dall'impegno del padre nella vita politica e dalle persecuzioni contro gli antifascisti. Tra il 1926 e il 1928 la famiglia Nenni si rifugiò a Parigi. A 21 anni Vittoria sposò un giovane francese, Henri Daubeuf, che faceva parte della Resistenza nella Francia occupata dai nazisti e che fu arrestato e fucilato dalla Gestapo. Lei rifiutò di rivendicare la cittadinanza italiana nel timore che il suo arresto venisse usato come arma di ricatto nei confronti del padre e il 24 gennaio 1943 partì per Auschwitz con 230 donne. Nell'estate del '43, solo 57 erano ancora in vita.
    Alla fine sopravvissero in 49, ma non Vittoria Nenni, che morì per il tifo e la denutrizione. Il padre ebbe le ultime notizie della figlia il 30 gennaio 1943, da una cartolina gettata dal treno: "Nous nous reverrons! (Ci rivedremo!)". Apprese della sua morte il 20 maggio 1945 dal compagno di partito Giuseppe Saragat, all'epoca ambasciatore d'Italia in Francia. Nell'agosto del 1947 visitò Auschwitz, dove i militari sovietici gli consegnarono la scheda segnaletica di Vittoria con la foto in divisa da deportata e l'atto di morte. Ad Auschwitz una targa ricorda le ultime parole di Vivà: "Dite a mio padre che non ho perso coraggio mai e che non rimpiango nulla". Ancona, la sua sua città natale, le ha dedicato nel 1968 una via del quartiere Palombare-Pinocchio.
   

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