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Alibi 'troppo' circostanziati hanno insospettito i pm

Commerciante ucciso

Alibi 'troppo' circostanziati hanno insospettito i pm

Ecco cosa ha incastrato gli assassini di Pietro Sarchiè

MACERATA, 24 febbraio 2015, 18:37

Redazione ANSA

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Alibi troppo dettagliati, intercettazioni telefoniche, filmati di un autovelox e le minacce a un testimone con un coltello puntato alla gola: ''Stai attento, noi siamo siciliani...''. Ci sono elementi di prova ''tutti convergenti'' secondo il procuratore Giovanni Giorgio a supporto delle 4 ordinanze restrittive emesse dal Gip di Macerata Domenico Potetti a carico dei presunti responsabili dell'omicidio di Pietro Sarchiè, il venditore ambulante di pesce ritrovato morto il 5 luglio scorso nelle campagne di San Severino Marche.
    ''Il primo indizio - ha detto il procuratore in una conferenza stampa tenuta insieme ai carabinieri - risale al primo interrogatorio di Giuseppe Farina, ascoltato per ottenere informazioni generiche e non come indagato''. L'uomo diede conto dettagliatamente di tutti gli spostamenti fatti la mattina del 18 giugno, il giorno dell'omicidio, sostenendo di aver portato fuori i cani all'alba mentre il figlio Salvatore dormiva, e che poi il ragazzo era andato a Castelraimondo a vendere il pesce.
    In realtà Salvatore seguiva Sarchiè a bordo di una Y10 mentre il padre faceva su e giù fra il capannone del complice Santo Seminara e Castelraimondo. I tabulati telefonici hanno dimostrato che fino alle 8 del mattino padre e figlio si sono sentiti numerose volte, per poi ritrovarsi insieme a Sefro. Da quel momento, fra di due non ci fu più alcuna telefonata, mentre alcuni testimoni hanno confermato di aver sentito il rumore di colpi di pistola.
    Sulla strada dell'agguato, all'altezza del Chiesa dell'Arcangelo, sono state trovate tracce di una lunga frenata, quella del furgone di Sarchiè, poi smontato pezzo per pezzo nel capannone di Seminara. Per portare via parte dei rottami venne mandato a chiamare un addetto alla raccolta dei rifiuti. Questi disse ai catanesi che avrebbero dovuto regolarizzare l'attività di smaltimento: ''non ci provare'' gli avrebbero risposto gli arrestati puntandogli una lama alla gola ''noi siamo siciliani...''. Due giorni dopo il delitto, il 20 giugno, altri testimoni videro un gran fuoco accesso davanti al capannone di Seminara, alimentato dai Farina e da Torrisi: le fiamme servivano forse a bruciare ogni possibile residuo del furto e del delitto.
    Pochi giorni dopo i fatti, quando il delitto non era stato ancora scoperto, qualcuno vide Torrisi raggiungere di notte la Valle dei Grilli, dove era stato nascosto il cadavere di Sarchiè. Lo stesso Torrisi avrebbe mentito agli investigatori affermando che alle 9 del mattino del 18 giugno si trovava in casa, mentre invece era nel garage di Seminara. Questi a sua volta si sarebbe tradito in una conversazione telefonica in codice con Giuseppe Farina: ''Compare, ho detto (agli inquirenti ndr) che ho visto il tuo furgone''. Un tentativo di fornire un'alibi all'amico, visto che in quel momento il furgone di Farina era in piazza a Castelraimondo e non nel capannone di Seminara. Determinanti per la ricostruzione dei fatti sono stati il lavoro dei consulenti informatici, di quelli che hanno 'tradotto' le conversazioni in dialetto catanese fra gli indagati, e le immagini riprese da un autovelox a San Severino Marche, in cui si vede transitare il furgone di Sarchiè e dopo 25 minuti la Y10 di Salvatore Farina. La pistola cal. 38 che ha ucciso il commerciante invece non è mai stata ritrovata. ''Avevo un debito nei confronti della famiglia di Pietro Sarchiè - ha detto il procuratore ai giornalisti -, li ho conosciuti, sono bravissime persone, e sono contento che le indagini abbiano fornito loro una risposta concreta''.
   
   

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