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Vallanzasca:giudici, 'no' a condizionale

Vallanzasca:giudici, 'no' a condizionale

Respinta anche l'istanza presentata per la semi libertà

MILANO, 20 aprile 2018, 13:57

Igor Greganti

ANSACheck

. - RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il tribunale di Sorveglianza di Milano ha respinto le richieste di liberazione condizionale e di semilibertà presentate dalla difesa di Renato Vallanzasca, il protagonista della mala milanese negli anni '70 e '80 condannato a 4 ergastoli e a 296 anni di carcere.   

Renato Vallanzasca, il protagonista della mala milanese degli anni '70 e '80 condannato a 4 ergastoli e 296 anni di carcere, ha avuto negli ultimi anni un "cambiamento profondo", "intellettuale ed emotivo", e "non potrebbe progredire" continuando a stare in cella. E' con queste motivazioni che la direzione della casa di reclusione di Bollate, in una relazione firmata da un'equipe di esperti, ritiene che al 'bel René' possa essere concessa la liberazione condizionale, ossia possa finire di scontare la pena fuori dal carcere in regime di libertà vigilata. Un documento in linea con la richiesta della difesa discussa stamani in un'udienza. Davanti ai giudici della Sorveglianza (presidente Corti, relatore Gambitta) che dovranno decidere, era presente anche lo stesso Vallanzasca che nel 2014 si vide revocare la semilibertà, ottenuta qualche anno prima, perché venne arrestato e poi condannato a 10 mesi per una rapina impropria in un supermarket di oggetti di poco valore, tra cui un paio di mutande. Il suo legale, l'avvocato Davide Steccanella, nell'istanza per la liberazione condizionale e in subordine per la semilibertà (il detenuto torna in carcere la sera) ricorda che Vallanzasca sta per "compiere 70 anni" e che ha "trascorso, seppur con qualche breve intervallo, l'intera propria esistenza in carcere". Una detenzione iniziata nel 1972, "con un intervallo complessivo di meno di un anno" fuori "per le due evasioni", e un totale di "mezzo secolo" dietro le sbarre, 45 anni per l'esattezza. "Ci troviamo di fronte - scrive la difesa - ad un detenuto entrato in prigione appena dopo il compimento della maggiore età e che oggi uscirebbe da 'vecchio'". Il "pensiero" di Armando Lucchesi, figlio di Bruno, agente di polizia che morì il 23 ottobre 1976 in uno scontro a fuoco con Renato Vallanzasca e alcuni uomini della sua banda, resta, però, "sempre lo stesso, non cambia: Vallanzasca ha messo in croce tante famiglie, anche la nostra. Rispetterò qualsiasi decisione del giudice, ma non riesco, non posso perdonare". Per il difensore, invece, sostenere che in questo caso "la funzione sociale della pena" non abbia "dispiegato i suoi effetti anche sull'originario spessore delinquenziale del soggetto, 'trasformatosi' da efferato omicida a maldestro ladro di boxer da supermercato, sarebbe non solo profondamente ingiusto, ma anche contrario al dato di fatto oggettivo". Del tutto diversa la linea del sostituto pg Antonio Lamanna che ha dato parere negativo alle richieste anche perché, ha sostenuto, se il carcere di Bollate parla di "adeguato livello di ravvedimento" il codice impone, invece, che il ravvedimento sia "sicuro" e per il pg non lo è. Mentre la difesa ha valorizzato anche un "rapporto disciplinare" nei confronti di una guardia penitenziaria che ebbe una discussione ad agosto col boss della Comasina, Massimo Parisi, direttore dell'equipe di Bollate, mette in luce quel "cambiamento profondo" frutto "di una sofferenza che, seppur non evidenziata, nei colloqui con gli operatori che da anni lo seguono, sa emergere in modo autentico e non sovrastrutturata". E una comunità e una cooperativa hanno già dato la loro disponibilità a prenderlo in carico, come in passato. Nel frattempo 'René' sta seguendo un percorso di "giustizia riparativa" e qualche mese fa ha incontrato Giovanni Ricci, figlio di Domenico, uno degli uomini della scorta di Aldo Moro uccisi in via Fani. Un colloquio "valutato in senso positivo" dagli operatori e nel quale Vallanzasca si è mostrato "disponibile a familiarizzare con alcune tematiche". Temi che, però, "nonostante i quasi quarant'anni di carcerazione, non aveva ancora avuto modo di affrontare, neppure embrionalmente".

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