Nel luglio 2016, la stessa Commissione Ue aveva già notato che l'Italia e altri cinque Paesi (Belgio, Estonia, Portogallo, Romania e Slovenia) - pari al 20% dei dazi doganali riscossi in Ue - non hanno espletato alcun audit a posteriori oppure non hanno fornito alcuna informazione in merito.
Per i controllori dei conti, infatti, in generale "ci sono incentivi insufficienti per gli stati membri perché applichino i controlli doganali" in quanto "chi li fa ma non riesce a recuperare le perdite per il bilancio Ue rischia conseguenze finanziarie, mentre chi non li fa non incorre in alcun rischio".
Ci sono poi una serie di lacune negli stessi sistemi di verifica delle importazioni degli stati membri. Per esempio, è emerso che in Gran Bretagna una mancanza di richieste di garanzia sul valore di calzature e tessili importati dalla Germania ma provenienti originariamente dalla Cina ha permesso a queste di essere dichiarate a basso valore e quindi reimmesse sul mercato di altri Paesi Ue, tra cui Polonia e Slovacchia. L'Olaf ha già stimato a 2 miliardi di euro tra il 2013 e il 2016 il 'buco' al bilancio Ue provocato da frodi doganali che hanno approfittato del lassismo dei controlli in Gran Bretagna. "I dazi doganali costituiscono fino al 14% del bilancio Ue, circa 20 miliardi", ha sottolineato il responsabile del rapporto Pietro Grasso, quindi "la loro evasione aumenta il divario che deve essere compensato con contributi più alti da parti degli stati membri, un costo questo sostenuto alla fin fine dai contribuenti".
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