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Migranti: 10 giorni per evitare collasso, migliaia in marcia

Atene richiama ambasciatore a Vienna, non saremo Libano d'Ue

Redazione ANSA BRUXELLES

BRUXELLES - Un fiume umano che non si arresta e che non si vuole fermare in Grecia. Sono più di mille i migranti che oggi hanno rotto le recinzioni del campo di Diavata, mettendosi in marcia verso Idomeni, al confine con la Macedonia. E' una colonna di disperazione e determinazione, con uomini, donne, bambini pronti ad affrontare la polizia alla frontiera, pur di avanzare nel viaggio attraverso l'Europa.

 

Mentre da Bruxelles il commissario all'Immigrazione Dimitris Avramopoulos lancia l'allarme: se non ci saranno risultati concreti nella messa in pratica delle soluzioni europee, "c'è il rischio che l'intero sistema" europeo "collassi". Dal terreno, foto scattate nella centrale piazza della Vittoria ad Atene, diventata luogo di pellegrinaggio per migliaia delle 28mila anime rimaste intrappolate nella penisola ellenica, raccontano storie di rassegnazione: due pakistani hanno tentato di togliersi la vita impiccandosi ad un albero, dopo aver capito che il loro viaggio era al capolinea.

 

"La situazione sulla rotta dei Balcani occidentali è davvero critica. La possibilità di una crisi umanitaria su larga scala è molto reale e molto vicina" avverte Avramopoulos al termine della riunione dei ministri dell'Interno Ue, dove è emersa l'ennesima spaccatura, con Paesi dell'est e Austria che ormai pensano solo a blindare i confini, tagliando fuori la Grecia. 

 

Nella penisola ellenica le recenti azioni unilaterali dei Paesi balcanici, che alla frontiera macedone bloccano anche i profughi siriani privi di documenti in regola, fanno sentire "i primi effetti negativi". E Bruxelles lavora con l'Alto commissario Onu per i rifugiati (Unhcr) Filippo Grandi, ad un piano d'emergenza umanitario. "Non accetteremo di diventare il Libano d'Europa. Non saremo un deposito per le anime", protesta il viceministro per l'Immigrazione greco Ioannis Mouzalas, furibondo per il trattamento riservato al suo Paese, escluso dal vertice organizzato ieri dall'Austria a Vienna.

 

Alla riunione con i colleghi Ue Mouzalas si ritrova più volte sul banco degli imputati, ce lo inchiodano i quattro ministri dei Visegrad - il polacco Mariusz Blaszczak, lo slovacco Robert Kalinak, l'ungherese Sandor Pinter, il ceco Milan Chovanec - ma anche quello austriaco Johanna Mikl-Leitner, con la quale lo scambio è anche più acceso. In difesa del greco parlano l'italiano Angelino Alfano, il francese Bernard Cazeneuve, il tedesco Thomas de Maiziere, che con la Commissione Ue premono per l'attuazione delle soluzioni europee.

 

Ma la situazione è tesa. Quando alla richiesta di aiuto di Atene in modo quasi surreale Chovanec, spiega che la Repubblica Ceca a dimostrazione della sua solidarietà "ha già inviato cinquemila coperte", per Mouzalas la misura è colma. Nelle stesse ore Atene richiama per consultazioni il proprio ambasciatore a Vienna, Chrysoula Aleiferi. Avramopoulos mette in guardia: "Servono risultati chiari e tangibili sul terreno nei prossimi dieci giorni. O c'è il rischio che l'intero sistema collassi".

 

Tra dieci giorni ci sarà infatti un nuovo vertice straordinario dei leader dei 28 sulla crisi dei profughi con la Turchia. All'inviato di Ankara i ministri dell'Unione hanno chiesto di ridurre drasticamente i flussi entro quella data e se per il 7 marzo non saranno stati drasticamente ridotti, "si dovranno trovare altre misure e fare più piani di emergenza" avverte il ministro dell'Immigrazione olandese Klaas Dijkhoff.

 

"Con i muri si generano solo illusioni", evidenzia Alfano, che torna alla carica sulla necessità di rivedere il regolamento di Dublino. E' "inaccettabile" l'idea di risolvere i problemi "sulle spalle di altri Paesi", afferma De Maiziere. Mentre Cazneuve - risentito dai controlli alle frontiere imposte dal Belgio per lo smantellamento della Giungla di Calais senza preavvertimento - dice "no alle politiche che mettano in difficoltà la Grecia".

 

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