di Redazione ANSA

Stop Ceta! Sì al Ceta! Il caso del Prosciutto di Parma, o di come difendere Dop e Igp nei trattati commerciali internazionali

Sì o no, negoziati a oltranza e più o meno trasparenti, pressioni delle lobby, ma anche dei cittadini, campagne pro e contro, manifestazioni, quasi sempre contro, e voti e ratifiche, quasi sempre a favore. Mai come in questi ultimi mesi gli accordi commerciali internazionali sono finiti nel tritacarne mediatico, prima il TTIP, il Trattato di libero scambio tra Ue e Usa, lanciato nell’era Obama e fatto affossare all’inizio di quella Trump, e quindi il CETA, l’accordo raggiunto tra l’Europa unita ed il Canada, per molti considerato il più moderno trattato commerciale in vigore e, per altri, una minaccia per alcuni settori produttivi ed occupazionali europei, su tutti l’agricoltura, ed anche per la qualità dei cibi che finiscono sulla nostra tavola. Non a caso sotto la pressione degli allevatori di frisone belghe e di gruppi di cittadini, il Parlamento della piccola regione belga della Vallonia bloccava per alcuni mesi la ratifica del CETA, tenendo in scacco tutti gli Stati Ue. La Vallonia infine firmava, ma la partita non finiva lì, reazioni a catena, spesso orchestrate da organizzazioni agricole hanno fatto suonare il campanello di allarme per i negoziati con il Giappone, l’Indonesia ed il Mercosur.

I trattati che aprono il commercio internazionale, sono un vero pericolo per i nostri prodotti di qualità e per il settore agricolo o sono una risorsa? Il caso di una delle perle della nostra produzione agroalimentare, il Prosciutto di Parma, ci mostra come questi accordi non siano poi così cattivi, nemmeno a tavola.

Parma e Canada, una storia difficile per colpa di un 'paesano'

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La storia tra il Parma e il Canada è una di quelle storie tribolate fin da subito, come ci spiega il Stefano Fanti, Direttore del Consorzio del Prosciutto, ma anche una storia paradigmatica di come, molto spesso, a rendere la vita difficile ai nostri prodotti all’estero siano, in primis, gli stessi italiani emigrati per cercar fortuna. “Negli anni Sessanta – racconta Fanti - un emigrante italiano che voleva vendere i suoi prodotti di salumeria ha registrato il marchio Parma all’ufficio brevetti canadese”, una mossa di marketing per promuovere un prodotto che però di Parma non avevano assolutamente nulla. “Dopo una trentina d’anni, a metà dei Novanta”, continua Fanti, “a seguito di una serie di trattative tra il Consorzio, con l’appoggio del governo italiano, e il governo canadese, abbiamo ottenuto l’autorizzazione ad esportare i nostri prosciutti in quel paese, ma al momento dell’arrivo dei Parma in Canada abbiamo scoperto che non era possibile utilizzare la denominazione d’origine ‘Prosciutto di Parma’ perché c’era proprio questo marchio già registrato da questa ditta italo-canadese che l’aveva quindi venduto ad un colosso canadese, la Maeple Leaf (controlla)”.

Partita chiusa e mercato chiuso, almeno alla dicitura ‘Prosciutto di Parma’, appannaggio, per via delle leggi sui brevetti, di un prosciutto che Parma non l’aveva vista nemmeno in cartolina. “Nei supermercati – ricorda ancora il direttore del Consorzio - e nei negozi canadesi il Parma si trovava solo come ‘The original’ o ‘L’original’ prosciutto di Parma, ma era vietato venderlo con il nostro nome”. Di fronte allo smacco, che è anche economico, oltre che di immagine, parte la battaglia legale per chiedere l’invalidazione di quella che era “un’effettiva falsificazione del nostro marchio”. Ma la partita è stata tutta in salita per il Consorzio: “Per diversi anni abbiamo intrapreso questa vertenza, ma sempre senza successo, nonostante si trattasse di una palese contraffazione del nostro marchio.”

E qui scende in campo l’Europa ed il CETA e con loro la tutela del marchio passa per Bruxelles.
“Intorno agli anni 2000 – spiega ancora Fanti - abbiamo cambiato strategia ed abbiamo coinvolto Bruxelles nell’ambito delle trattative per l’accordo commerciale con il Canada”. L’obiettivo: cercare di ottenere una tutela anche per il Parma. Una partita che dopo anni di tentativi si conclude positivamente: “l’anno scorso arriva la firma dell’accordo CETA, che tra le varie cose prevede anche una serie di protezioni dei diritti di proprietà di intellettuale ed una specifica per il Prosciutto di Parma”. Ma cosa significa questa protezione? “Abbiamo ottenuto un compromesso – chiarisce il Direttore del Consorzio - tra governo canadese e Commissione Ue che permette finalmente di esportare il Parme usando il nome ‘Prosciutto di Parma’ attraverso un accordo di sostanziale coesistenza tra la nostra denominazione di origine DOP e il marchio privato dell’azienda canadese Parma. E così, finalmente, dallo scorso anno i consumatori canadesi possono acquistare il Prosciutto di Parma chiedendolo semplicemente con il proprio nome: mi dia un etto di Parma”.

(foto di Pier Marco Tacca)


Vendita triplicate con il CETA, ma il problema non è solo canadese

“Nei primi mesi di quest’anno, e sono solo i primi dati di cui disponiamo, ci dicono che le esportazioni verso il Canada sono addirittura triplicate”, quantifica Paolo Tramelli, responsabile marketing del Consorzio. E non finisce qui: “l’impatto del CETA, infatti, non si spiega solamente con l’aumento delle esportazioni, ma anche sul risparmio di alcuni costi, basti pensare che noi in Canada abbiamo speso in questi anni oltre un milione di euro per portare avanti spese legali, trattative con la controparte, oggi questi soldi possono essere investiti nella valorizzazione del nostro prodotto”.

Esito quindi positivo in Canada, peccato però che il paese nord americano non sia l’unico in cui i nostri emigranti hanno registrato marchi italiani per prodotti che di italiano non hanno nulla. “La stessa problematica che avevamo in Canada – ricorda ancora Tramelli - l’abbiamo ora anche in Brasile e nei paesi del Mercosur. Basti pensare che in Brasile il nostro principale competitor locale produce e vende un prodotto fatto in Brasile che però chiama ed etichetta come ‘Prosciutto di Parma’, per noi diventa quindi impossibile investire delle risorse per promuovere il nostro prosciutto, quello vero, perché così andremmo a favorire un nostro concorrente”.

A salvare il Parma, quello vero, potrebbero essere quindi, ancora una volta, i tanto vituperati accordi commerciali internazionali. “Speriamo quindi che come con il CETA, anche nei negoziati con i paesi del Mercosur si possa arrivare ad un risultato simile, con una lista di prodotti, tra cui il Parma, finalmente tutelati. Un passo non solo per noi, ma anche per i consumatori locali che potranno distinguere il vero Parma dalle imitazioni”, conclude Tramelli.

(foto di Pier Marco Tacca)


Come funzionano a tavola gli accordi commerciali internazionali?

Da dove vengono il CETA, il TTIP, gli accordi con Giappone, Indonesia, Mercosur? “I negoziati bilaterali tra Bruxelles e i paesi terzi nascono dalla fine di quel periodo di accordi globali raggiunti, non senza grosse difficoltà, in seno all’Organizzazione mondiale del commercio, nell’OMC”, ricorda ancora Stefano Fanti. Una volta dato per finito il modello OMC, la Commissione Ue, che negozia a nome di tutti gli Stati membri, ha intavolato delle trattative con i suoi principali partner mondiali. “Un ambito di negoziazione – spiega il Direttore del Consorzio - che può aprire scenari molto interessanti per i prodotti di denominazione di origine protetta”. In primis, c’è l’aspetto commerciale con la riduzione di dazi che agevolano l’esportazione di prodotti normalmente sottoposti a tassazioni importanti. “Ma l’aspetto più rilevante per i prodotti DOP – insiste Fanti - è il riconoscimento che la Commissione europea richiede ai paesi extracomunitari dei nomi dei prodotti con indicazione geografica e questo è estremamente importante perché dà luogo ad una serie di strumenti legali di tutela contro le contraffazioni, imitazioni e abusi delle DOP in giro per il mondo. Per questi prodotti è essenziale lo strumento offerto da questi negoziati ma è altrettanto importante che ci sia un coinvolgimento dei consorzi interessati attraverso gli Stati membri e la Commissione Ue”.

(foto di Pier Marco Tacca)


Il Gorgonzola Giapponese e il Pecorino Romano Brasiliano: i nuovi pericoli per le DOP italiane

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Una dinamica di riconoscimento dei prodotti di qualità che però non va giù ai grandi produttori globali. “Questa politica negoziale – spiega infatti ancora Fanti - è contrastata fortemente da pressioni di produttori globali, multinazionali, che cercano di far riconoscere nei paesi extra Ue come generiche alcune denominazioni che generiche non lo sono proprio per nulla, è il caso, per esempio, della Fontina, dell’Asiago e del Gorgonzola in Giappone, oppure del Pecorino Romano nel Mercosur”. Una partita molto complessa per gli interessi in gioco e la forza dell’industria, ma in cui l’Europa non parte assolutamente sconfitta, proprio come insegna il caso del CETA. “Anche in questo caso – conclude l’uomo del Consorzio di Parma – la Commissione Ue con il supporto degli Stati membri, dei governi e dei consorzi interessati deve fare fortemente opposizione a queste accuse negoziali in modo che i consumatori di tutto il mondo possano gustare i prodotti originari sulle proprie tavole”.