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Fra terzo mandato e sisma, l'epoca che ha segnato la regione

L'addio di Vasco Errani, storia e caduta del 'non-governatore'

(di Roberto Anselmi)

(ANSA) - BOLOGNA, 23 LUG - Possiamo pure non chiamarla 'era Errani', come ha chiesto lui nel discorso con cui si è congedato. Ma è quasi impossibile separare gli ultimi quindici anni dell'Emilia-Romagna dal politico che in questo periodo l'ha governata, traghettandola attraverso riforme istituzionali che ne hanno ridisegnato ruolo e potere; plasmata negli anni complicati seguiti alla nascita della prima Repubblica e portata - anche da presidente della Conferenza delle Regioni - sulla soglia di quella che forse sarà la terza. Possiamo pure non chiamarla 'era Errani', ma con l'ultimo discorso, oggi nell'aula dell'Assemblea, tra Piacenza e Rimini, finisce un'epoca.
    "Sono uno che parla poco. Vorrei che parlassero di più i fatti". Con queste parole iniziò quest'epoca, il 3 marzo del 1999. L'assessore al turismo, Vasco Errani, prende il posto di Antonio La Forgia che si è dimesso dopo essere uscito dai Ds - sembra un secolo - per seguire Prodi e il suo Asinello. Ad eleggerlo, questa prima volta, furono i consiglieri. Da lì a un anno lo faranno i cittadini, per la prima volta, in maniera diretta. Un mandato, due mandati. Fino al discusso terzo che, della travagliata legislatura che si è appena conclusa, è stato forse il 'peccato originale'. Una vita politica essenziale, quella di Errani. Mai una parola di troppo, l'etica della mediazione rivendicata con orgoglio. L'antipatia, conseguente, per l'etichetta mediatica di 'governatore'. Negli anni in cui i leader iniziavano ad essere star, la sua cifra è stata - nel bene e nel male - il basso profilo, la sobrietà. A Bologna si conosceva poco o nulla della sua vita privata. E della sua famiglia si sapeva solo del fratello, di Terremerse, dell'ultimo capitolo. Anche della sua attività politica nel partito - deludendo i giornalisti in cerca - non parlava mai anche quando, ad esempio, era nella stanza dei bottoni nel Pd di Bersani, al quale è sempre stato vicinissimo.
    Sobrietà. Nel suo studio, spoglio, una tv divisa tra televideo e rete all news. Alla parete un poster in ricordo del concerto organizzato dagli artisti emiliani per raccogliere fondi nei momenti immediatamente successivi al sisma del maggio 2012. Quel giorno Errani salì sul palco sfidando un clima di antipolitica galoppante, parlò e uscì senza fischi dallo stadio Dall'Ara. Il sisma, il suo ruolo da Commissario (apprezzato: in aula oggi c'erano i sindaci delle aree colpite), forse il pezzo più complicato della terza volta di Errani. Una legislatura drammatica, segnata dal suicidio del consigliere Maurizio Cevenini che si gettò nel vuoto dal suo ufficio proprio nella sede della Regione. Segnata dalle inchieste della procura sulle spese dei gruppi. Lo scorso autunno, nei giorni in cui l'assemblea rischiava di venir travolta, Errani si schierò, non derogò al rispetto non formale per la magistratura ma chiese di "non mettere l'istituzione Regione in un frullatore". Uno che parla poco. Un uomo del fare. Il culto dell'istituzione. Al di là dei giudizi di valore, quello che non si potrà dire di Errani è che non sia stato fedele a queste premesse. Oggi, congedandosi e prima della standing ovation ha detto, al passato: "In una fase in cui spesso le parole inseguono le parole con il rischio di perdere ogni significato e valore, preferisco dirla così: siamo ciò che abbiamo fatto".
    (ANSA).
   

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