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Il razzismo è tossico per chi lo subisce

Il razzismo è tossico per chi lo subisce

Fa crescere livelli infiammazione in chi lo sperimenta

03 giugno 2019, 12:22

Redazione ANSA

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© ANSA/AP

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ROMA - Il razzismo ha un effetto tossico sull'uomo. Aumenta i livelli di infiammazione in chi lo subisce, facendo crescere anche il rischio di malattie croniche. Lo rileva uno studio della University of Southern California e dell'Università della California di Los Angeles, pubblicato su Psychoneuroendocrinology.
    La sopravvivenza degli esseri viventi dipende dalla loro capacità di rispondere a infezioni, stress e lesioni. Tali minacce innescano una risposta del sistema immunitario per respingere gli agenti patogeni e riparare i tessuti danneggiati.
    Un gruppo selezionato di geni è fondamentale per questo meccanismo di difesa, e l'infiammazione è un segno che quei geni stanno lavorando. Ma se ci si sente minacciati per lunghi periodi di tempo, la salute può risentirne significativamente.
    "Se i geni rimangono attivi a lungo - rileva infatti Steve Cole, co-autore dello studio - questo può promuovere infarti, malattie neurodegenerative e cancro metastatico". I ricercatori si sono concentrati su un gruppo di 71 persone: due terzi erano afroamericane, le altre bianche, tutte di background economico simile. Inoltre, 38 erano positive all'Hiv, così da studiare gli effetti del razzismo indipendentemente da quelli della malattia. I ricercatori hanno estratto l'Rna dalle cellule e misurato le molecole che attivano l'infiammazione, oltre a quelle coinvolte nelle risposte antivirali, trovando livelli più alti negli afroamericani. I risultati indicano anche che il razzismo può rappresentare in questo gruppo fino al 50% dei livelli di infiammazione aumentati. È poi emerso che le decisioni o gli stili di vita possono ridurre gli effetti negativi di alcuni fattori di stress, ma la discriminazione razziale è qualcosa di cronico, di cui le persone non hanno controllo. "Non puoi cambiare il colore della pelle", evidenzia infatti April Thames, autrice principale dello studio, che spiega però come servano ulteriori ricerche su campioni più ampi.
   

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