Il tumore ovarico e' una brutta bestia.
Anche se oggi, dopo un ritorno della malattia, il follow up e' apparentemente negativo e a chi mi chiede se sto bene so che devo rispondere di sì, in mente mia mi chiedo "Sarà davvero così? ". Questa patologia molte volte si scopre tardi, i sintomi sono spesso subdoli e non vengono capiti e il rischio di recidive e' alto. Per questo, da medico e soprattutto da donna, da paziente, mi dedico con la mia Associazione Acto onlus Bari anche farla conoscere alle altre donne.
Ricordo ancora quando tutto è iniziato. Io non pensavo alla mia salute, pensavo a tutt'altro, ero concentrata sul mio lavoro di neurologa,per tre anni ho saltato il pranzo. Ma ho iniziato a ingrassare e mi sono preoccupata e poi avevo problemi respiratori. Era un'ascite, cioè del liquido dentro i polmoni. Il 3 gennaio 2013 ho fatto una Tac a Bari, in cui il mio collega aveva quasi pudore nel dirmi che qualcosa non andava, ma ho subito compreso quando mi ha detto che c'era una massa nella zona pelvica. Ricordo che quel giorno ho poi ripreso a lavorare, fino alle sette e trenta di sera. Dopo 15 giorni ho fatto un'operazione all'Ieo di Milano, poi sei cicli di chemio nuovamente a Bari. La malattia si è purtroppo ripresentata nel 2015 e ho dovuto fare altri nove cicli di chemio. È' stato proprio durante la chemio, mentre ero in poltrona e accanto avevo altre signore, che ho iniziato a chiedere loro se erano d'accordo a fare un'associazione.
Anche il personale sanitario era entusiasta dell'idea e lo erano pure i familiari, così è iniziato un percorso importante che ha portato nel 2014 a mettere in piedi questa realtà associativa, frutto di molti incontri a Milano dai quali era emerso che c'era la volontà di creare anche altre sedi locali dell'Associazione. Ho ancora impresso nella memoria quel giorno, l'8 marzo 2014, l'appuntamento era in un'aula della ginecologia oncologica diretta dal professor Cormio. Di solito c'è il sole in città, quel giorno diluviava e pensavo che non sarebbe venuto nessuno. Invece ci siamo ritrovati li', in tanti, le donne e i loro familiari, e ora il pensiero e' "Se salviamo due donne al mese abbiamo già fatto qualcosa".
Alle donne vogliamo trasmettere il messaggio che è' importante non demordere e lottare. Io personalmente mi ritengo fortunata, perché da medico e' dai miei pazienti che ho appreso molto e penso che non bisogna lasciare che la malattia vinca. A volte è dura, ma penso a chi sta peggio: mi colpisce sempre, ad esempio, anche la sofferenza dei familiari dei malati, che vedo a volte disperati nei reparti. Anche mia sorella quando mi sono ammalata era più preoccupata di me. Poi ha capito che avere un tumore non vuol dire morte immediata, ci sono delle strade che è possibile percorrere per provare a guarire. E poi nel percorso si conoscono anche molte persone, alcune delle quali straordinarie. Lottare con altre donne ti riempie. Non sono chiacchiere ma fatti.