RIMINI, 20 OTT - "Circa il 20-30% dei malati che hanno la policitemia vera possono avere delle trombosi sia arteriose che venose, queste rendono rendono conto di circa il 40% della mortalità di questi malati". Così, a margine di un simposio scientifico nell'ambito del XIV Congresso nazionale di Sies, la Società Italiana Ematologia Sperimentale, Tiziano Barbui, professore di Ematologia e direttore scientifico della Fondazione per la ricerca dell'Ospedale 'Papa Giovanni XXIII'di Bergamo inquadra i rischi tromboembolici legati alla policitemia vera, malattia mieloproliferativa, riconosciuta, dal 2008, come neoplasia tumorale.
Quanto ai trattamenti, osserva, "nel 2011 abbiamo scritto le linee guida di trattamento delle malattie mieloproliferative e abbiamo distinto due gruppi: la policitemia e la trombocitemia in cui l'obiettivo è quello di evitare le trombosi, per cui i pazienti vengono classificati a basso o alto rischio a seconda dell'età e a seconda dell'aver avuto una storia precedente di trombosi. Il basso rischio invece è una persona più giovane, asintomatica. Sulla base di questo - argomenta Barbui - vengono introdotti i trattamenti: il paziente a basso rischio per esempio nella policitemia si avvale dei salassi e non della citoriduzione perché c'è sempre il pericolo che l'utilizzo di farmaci citoriduttivi in una persona giovane possa portare a lungo andare lo sviluppo di leucemie".
A giudizio del professore lombardo, "questo era valido fino ad alcuni anni fa, probabilmente le cose cambieranno nel prossimo futuro. Nonostante queste terapie, il rischio vascolare di questi malati è 4-5 volte più alto rispetto alla popolazione di controllo, vale a dire dei pazienti che non hanno queste malattie mieloproliferative".
In collaborazione con: