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Diabete, pazienti a rischio con cure eccessive o inadeguate

Diabete, pazienti a rischio con cure eccessive o inadeguate

Serve un piano terapeutico ad personam in base all'età ed altri fattori

ROMA, 20 febbraio 2020, 18:26

Redazione ANSA

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Diabete, pazienti a rischio con cure eccessive o inadeguate - RIPRODUZIONE RISERVATA

Diabete, pazienti a rischio con cure eccessive o inadeguate - RIPRODUZIONE RISERVATA
Diabete, pazienti a rischio con cure eccessive o inadeguate - RIPRODUZIONE RISERVATA

Eccesso di trattamento o al contrario cure non adeguate per mantenere un buon controllo glicemico nel tempo: è questa talvolta la situazione che si riscontra nella gestione dei pazienti diabetici, per i quali si dovrebbe puntare invece a un controllo personalizzato della malattia, a seconda dell'età e delle caratteristiche del singolo paziente. Lo suggerisce uno studio condotto presso la Mayo Clinic di Rochester e pubblicato sulla rivista BMJ Open Diabetes Research & Care, utilizzando dati relativi a oltre 194 mila pazienti con diabete di tipo 2 e tenendo conto di diversi parametri (terapie usate, glicemia, complicanze, 'emoglobina glicata', e una misura del controllo glicemico a lungo termine, importante per vedere se il paziente gestisce bene la malattia nel lungo periodo; in tal caso il valore dell'emoglobina glicata è pari o inferiore a 7).

"Si tratta di uno studio interessante, c'è da dire però che, a differenza di quanto avviene in Usa dove il diabete è gestito dai medici di famiglia, in Italia in oltre il 50% dei casi i diabetici sono seguiti da strutture specialistiche di diabetologia e c'è una sensiblità molto più alta verso la personalizzazione delle cure", spiega Agostino Consoli, presidente eletto della Società Italiana di Diabetologia; "cionondimeno, non è chiaro se anche in Italia si possa riscontrare un trend simile a quello osservato in questo studio", continua.

Dal lavoro è emerso che, paradossalmente, a presentare i livelli più alti di emoglobina glicata (che significano che la malattia non è ben controllata) - con una media di 7,7 - erano proprio i più giovani (18-44 anni) che avrebbero invece bisogno di un controllo glicemico più stringente, mentre quelli coi livelli più bassi di glicata - in media 6,9 - erano i 75enni e over-75. Inoltre gli anziani sono risultati troppo spesso essere trattati con insulina e sulfoniluree, una classe di farmaci che non protegge dalle ipoglicemie e che è ormai da tempo sconsigliata per quei pazienti che soffrono anche di altre malattie (comorbidità), come accade tipicamente nel paziente anziano.

"Ciò che è peggio - sottolinea l'autrice dello studio, un'endocrinologa della Mayo Clinic, Rozalina McCoy - è che ad essere trattati in modo più intensivo sono proprio i pazienti più a rischio di essere danneggiati da un eccesso di cure (quindi più a rischio di ipoglicemie)". "E allo stesso tempo - continua - i pazienti che beneficerebbero di un trattamento più intensivo, spesso non ricevono nemmeno le cure di base. Il disallineamento dell'intensità terapeutica rispetto ai bisogni reali dei pazienti è risultato veramente dirompente", afferma. Idealmente ogni paziente dovrebbe avere obiettivi personalizzati e ricevere regimi terapeutici su misura, spiega.

"I pazienti più anziani o quelli con altre malattie e quindi più a rischio di ipoglicemie (che per loro sono, peraltro, ancora più pericolose di un aumento degli zuccheri nel sangue) vanno trattati in modo meno aggressivo; al contrario i pazienti giovani, che peraltro avendo tanti anni di malattia davanti a sé sono quelli che beneficiano di terapie più intensive, conclude McCoy.

"Pur tenendo conto che questo tipo di studi ha una serie di potenziali bias- sottolinea Consoli - quello che preoccupa di più nei suoi risultati è che nei soggetti anziani si usino ancora farmaci sconsigliati per questa fascia d'età e si usa troppo l'insulina". Le sulfoniluree non dovrebbero essere usate nelle persone anziane, continua Consoli, dell'Università di Chieti-Pescara, "perché si associano ad un pesante rischio di ipoglicemia e non hanno documentati effetti protettivi nei confronti delle più comuni comorbidità, come le malattie cardiovascolari. Esistono di certo terapie più moderne e più sicure per questi pazienti critici".
   

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