Nell'avanzato e ricco Nord
industriale in cui le imprese e la 'ndrangheta calabrese vanno
spesso a braccetto per interessi convergenti, drogano il
mercato, alterano il principio economico della libera
concorrenza riciclando i proventi miliardari del traffico di
cocaina, c'è un imprenditore che ha detto no, che ha
denunciato boss e gregari dell'organizzazione criminale
puntando il dito contro di loro in un'aula di tribunale.
Squarciando un velo di omertà e connivenze che in Piemonte,
Lombardia, Emilia Romagna e Liguria, è agli atti dei processi e
si nutre del reciproco vantaggio. E' questo il contenuto di "Le
mie due guerre", di cui è autore l'imprenditore Mauro Esposito,
in libreria dal prossimo 21 marzo.
La storia di Esposito è - prima e più di tutto - una storia di
ribellione, un viaggio nelle viscere della criminalità
organizzata e dei suoi tentacoli nell'economia piemontese. E'
una storia di coraggio, di lotta. Per salvare la propria vita e
restituire una speranza a una sistema ormai rodato, figlio di
collusioni e silenzi complici.
La sua vicenda conferma come la 'ndrangheta esista anche
dove non pensiamo e dove - sempre di più - la scopriamo.
Lontano dalla Calabria, a capo di società che fatturano milioni
di euro.
Movimenta denaro e cantieri, cerca nuovi spazi per creare
"lavatrici" finanziarie, avvicina gli imprenditori, cerca di
corromperli e non ammette rifiuti. Altrimenti passa ai metodi
intimidatori. In quel Nord in cui le storie come quella di
Esposito sono poche e l'omertà delle vittime tantissime, si è
aperto uno spiraglio per tutti e si è chiusa una porta per i
clan.
Ed è quello che è successo a questo ingegnere, colpevole di
non essersi piegato alle logiche criminali del profitto. Un boss
in doppiopetto, legato mani e piedi alle potenti famiglie del
Crotonese, ha minacciato lui e la sua famiglia coperto - alle
spalle - da un'organizzazione 'ndranghetista potente e
radicata.
Lo hanno ridotto sul lastrico per convincerlo a farsi da parte e
prendere il suo posto nel remunerativo mondo dell'ingegneria e
delle direzioni lavori della provincia sabauda. Hanno cercato di
distruggerlo utilizzando anche leggi abrogate da anni e
risalenti ai tempi di Mussolini.
Quattro anni dopo la sua denuncia, sono scattati gli arresti e
poi le condanne. In mezzo un travaglio lungo e soffocante a
caccia di un respiro libero da meccanismi e presenze che il Nord
fatica a riconoscere o peggio alimenta in nome del business.
Con l'indagine San Michele nata anche dalle denunce di questo
imprenditore, Torino ha scoperto la pervasività della mafia
calabrese. La spregiudicatezza e la profondità della sua
infiltrazione che mirava agli appalti milionari dell'Alta
Velocità Torino-Lione.
Ed Esposito ha fatto la sua parte. Oggi è testimone di
giustizia. Si sta dignitosamente rialzando.
Combatte ancora per concludere un percorso reso complesso
dall'elefantismo dello Stato. Che è mamma ma anche matrigna
quando si tratta di riconoscere i meriti di chi ha denunciato.
Il processo si è concluso con 19 condanne per 416 bis. Tra
questi anche il boss in Porche Cayenne denunciato
dall'ingegnere di Caselle.
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