(di Eloisa Gallinaro) Asia Bibi è
libera. Dopo quasi 10 anni e un calvario giudiziario che ha
mobilitato mezzo mondo, la donna cattolica condannata a morte
per blasfemia è stata assolta dalla Corte Suprema pachistana e
trasferita dal carcere di Multan in un luogo sicuro in attesa di
lasciare il Paese. Ma il Pakistan insorge contro la storica
sentenza che segna uno spartiacque nella storia di violenta
intransigenza religiosa dello stato asiatico. Il verdetto è
arrivato questa mattina: 56 pagine che sanciscono la fine di un
incubo e decretano che "l'accusa ha categoricamente fallito nel
dimostrare la veridicità del caso al di là di ogni ragionevole
dubbio". Quindi "le accuse, come pure la condanna a morte,
decadono" e dopo 3.400 giorni di prigione Asia Bibi, 54 anni e
madre di cinque figli, ha lasciato la cella. Era il 2009 quando
venne arrestata nel suo villaggio di Ittanwali, nel Punjab, per
presunti insulti a Maometto in seguito alla denuncia di due
donne musulmane dopo una lite. Nel 2010 la condanna a morte per
impiccagione, e l'appello di Papa Benedetto XVI per la sua
liberazione. Ma la pena capitale veniva confermata nel 2014
dall'Alta Corte di Lahore. Dopo il ricorso del 2015 è arrivata
la decisione della Corte Suprema di sospendere la sentenza per
approfondire il caso. Oggi le organizzazioni per i diritti
umani, Amnesty International in testa, esultano insieme alla
comunità cristiana per una sentenza che cerca di dare un segnale
di interpretazione obiettiva della norma, ma gli estremisti
islamici non ci stanno. Il Partito radicale Tehreek-e-Labbaik
guidato da Khadim Hussain Rizvi ha incitato alla rivolta,
minacciato di morte i giudici e chiesto ai militari di
ribellarsi. Nel Paese dove la legge sulla blasfemia è facilmente
oggetto di strumentalizzazioni, il caso di Asia è sempre stato
una miccia pronta a far esplodere la polveriera
dell'intolleranza. L'ex governatore del Punjab Salman Taseer,
musulmano, fu ucciso nel 2011 per essere intervenuto
pubblicamente a favore della donna. La stessa sorte e per lo
stesso motivo, sempre nel 2011, toccò al ministro per le
Minoranze Shahbaz Bhatti, cattolico, assassinato sulla porta di
casa. E oggi le proteste sono esplose in tutto il Paese. Chiuse
le principali vie d'accesso tra Islamabad e Rawalpindi, mentre i
dimostranti sono arrivati fino al bazar di Aabpara, a poche
centinaia di metri da Parlamento e Corte Suprema. Al punto che è
dovuto intervenire il premier Imran Khan con un appello alla
nazione per invitare alla calma ma anche per mandare un
messaggio chiaro a estremisti e radicali. "Non sfidate lo Stato"
e "non costringete lo Stato a compiere azioni estreme", ha
avvertito Khan, rivolgendosi poi alla gente per chiarire che i
mullah "non stanno aiutando l'Islam e non stanno servendo il
Paese". "Non permettete loro di istigarvi alla violenza", ha
esortato, cercando di far passare l'idea che ad essere contro la
sentenza è solo un piccolo segmento della società. Ora Asia Bibi
è tornata dalla sua famiglia, che in questi anni ha dovuto
vivere nascosta. "Non vedo l'ora di riabbracciare mia madre.
Finalmente le nostre preghiere sono state ascoltate!", aveva
detto piangendo stamattina la figlia minore Eisham. Per il
marito, Ashiq Masih, "è la notizia più bella che potessimo
ricevere". Ma una nuova vita ci sarà solo fuori dai confini del
Pakistan, forse in Spagna o in Francia, che hanno offerto asilo.
"Abbiamo molta paura di quanto potrà succedere" in questo Paese,
ha detto il suo avvocato, Saif ul-Malook.
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