Anche chi è detenuto al 41bis "deve
conservare la possibilità di accedere a piccoli gesti di
normalità quotidiana, tanto più preziosi in quanto costituenti
gli ultimi residui in cui può espandersi la sua libertà
individuale". Con questa motivazione la Corte costituzionale ha
dichiarato l'illegittimità della norma che vieta di cuocere cibi
a chi si trova ristretto con regime di carcere duro.
La norma è contenuta nell'art. 41 bis dell'ordinamento
penitenziario, disposizione che in generale stabilisce le
particolari restrizioni per i detenuti che abbiano commesso
gravi reati di mafia, e nel comma 2-quater "impone che siano
adottate tutte le necessarie misure di sicurezza volte a
garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità per i
detenuti in regime differenziato di cuocere cibi". Una misura,
quest'ultima, introdotta nel 2009 nella necessità di contrastare
l'eventuale crescita di "potere" e prestigio criminale del
detenuto all'interno del carcere, misurabile anche attraverso la
disponibilità di generi alimentari "di lusso".
Nella sentenza, di cui è relatore il giudice Nicolò Zanon, si
fa notare, tra l'altro, che "la crescita di 'potere' e di
prestigio all'interno del carcere potrebbe derivare anche dalla
disponibilità di generi alimentari 'di lusso' da consumare
crudi. Ma "anche al di là di questo ovvio rilievo - prosegue la
sentenza -, è la stessa ordinaria applicazione delle regole di
disciplina specificamente previste a rendere pressoché
impossibile qualunque abusiva posizione di privilegio o di
'potere' all'interno del carcere collegata alla cottura del
cibo". Inoltre il regime di 41bis "rende assai improbabile il
possesso, da parte del detenuto, di generi alimentari pregiati,
che risultino motivo di discriminazione fra detenuti o mezzo
improprio di scambio, o tali comunque da distinguere la sua
posizione, pur all'interno del limitatissimo 'gruppo di
socialità" entro il quale al detenuto è concesso di convivere.
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