(di Luciano Fioramonti)
"Nei lager non si va in gita, è
un pellegrinaggio. Non si mangia, non si fanno selfie ma si sta
in silenzio, magari con un abito leggero in inverno per
sperimentare anche solo per mezz'ora che cosa si prova. Si
ascolta solo la propria coscienza". Nel silenzio totale dell'
aula di un grande albergo di Times Square, le parole Liliana
Segre commuovono gli oltre 1500 studenti giunti a New York per
l'ottava edizione di "Change the World", la simulazione dei
lavori delle Nazioni Unite organizzata dall'Associazione
Diplomatici. La senatrice a vita parla in video collegamento
dall'Italia ai ragazzi che si sono messi alla prova sognando un
futuro nel campo della diplomazia e della mediazione
internazionale. "Ci insegni a ribellarci alla paura" le dice uno
dei giovani e una standing ovation spontanea e un lungo applauso
saluteranno la fine del suo intervento.
"Perché ad un certo punto della tua vita hai sentito che era
arrivato il momento di condividere la tua memoria con le nuove
generazioni?" le ha chiesto la giornalista Myrta Merlino. "Non
era facile - risponde - trovare le parole per quello che Primo
Levi ha definito 'indicibile'. Ci sono voluti anni di ritrovato
amore. Mio marito, i miei bambini ai quali non sapevo spiegare
il mio numero sul braccio. Oggi quando parlo ai ragazzi mi
presento come nonna. Li guardo negli occhi. Cerco di caprine le
emozioni. Il mio è un messaggio di vita invece che di morte, che
cerco di passare ai questi miei nipoti ideali. Combatto l'odio e
la cattiveria".
La senatrice racconta quando a 8 anni il padre le disse che
non sarebbe potuta più andare a scuola. "Chiese alla maestra di
venire a casa per spiegarmi perché non potevo tornare nel luogo
per me più sicuro, la mia classe. Mi accolse con un sentimento
terribile: l'indifferenza. Si limitò a riferire delle leggi
razziali e se ne andò. Senza abbracciarmi. Senza dispiacere".
Che cosa prova oggi nel sentir parlare di norme per i Rom, di
non far sbarcare i migranti, dei nuovi muri che prendono forma?.
"Vidi nella caduta del muro di Berlino l'unità di un Europa -
dice -. Oggi molti Paesi stanno facendo il contrario. Ma accadde
la stessa cosa subito dopo la fine della Seconda Guerra
Mondiale, quando sarebbe stato intollerabile dichiararsi
antisemiti. Perché le cose si dimenticano, e i sentimenti osceni
riemergono. E ciò che li fa riemergere è l'indifferenza
generale. Il discorso della memoria e della storia sono legati
da un doppio filo. Fra tanti ragazzi che incontro penso che se
solo uno di loro si ricorderà dell'incontro, e avrà la curiosità
e la voglia di andare ad approfondire, facendo suo quel
racconto, allora il filo della memoria continuerà". Poi spiega
perché ha detto "Io non dimentico, io non perdono". "Quando
perdi gli affetti più cari che ti vengono tolti - spiega - come
fai a dimenticare? Il. Devi avere dentro di te la fortuna di
saper perdonare. Io non ce l'ho. Potrei perdonare il male che
hanno fatto a me ma non quello che è hanno subito milioni di
persone. Non lo dimentichi e non puoi perdonare".
Uno dei ragazzi le chiede dei negazionisti. "Hanno
cominciato a negare subito - osserva - non hanno aspettato di
visionare i documenti o di vedere le immagini scattate dai
nazisti. Lo hanno fatto per motivi politici certo, ma anche
perché era così indicibile quello che era successo, avrebbero
dovuto ammettere il male. Erano uomini e donne come noi, solo
vestiti in modo diverso, e preparavano la nostra morte. Nella
mia vecchiaia sono una donna libera, una donna di pace. Non
predicherò mai l'odio e la vendetta, ma solo l'amore".
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