Se hai scelto di non accettare i cookie di profilazione e tracciamento, puoi aderire all’abbonamento "Consentless" a un costo molto accessibile, oppure scegliere un altro abbonamento per accedere ad ANSA.it.

Ti invitiamo a leggere le Condizioni Generali di Servizio, la Cookie Policy e l'Informativa Privacy.

Puoi leggere tutti i titoli di ANSA.it
e 10 contenuti ogni 30 giorni
a €16,99/anno

  • Servizio equivalente a quello accessibile prestando il consenso ai cookie di profilazione pubblicitaria e tracciamento
  • Durata annuale (senza rinnovo automatico)
  • Un pop-up ti avvertirà che hai raggiunto i contenuti consentiti in 30 giorni (potrai continuare a vedere tutti i titoli del sito, ma per aprire altri contenuti dovrai attendere il successivo periodo di 30 giorni)
  • Pubblicità presente ma non profilata o gestibile mediante il pannello delle preferenze
  • Iscrizione alle Newsletter tematiche curate dalle redazioni ANSA.


Per accedere senza limiti a tutti i contenuti di ANSA.it

Scegli il piano di abbonamento più adatto alle tue esigenze.

Dia: 'Le mafie corrono anche sui social e puntano sui giovani, sono linfa vitale'

Cosa Nostra in crisi, alcuni mandamenti contro la Cupola

Redazione ANSA

Le mafie traggono la "linfa vitale" necessaria a rigenerarsi "in soggetti sempre più giovani, impiegati in professioni poco qualificate o senza occupazione". Lo scrive la Direzione investigativa antimafia nella Relazione sull'attività del primo semestre 2018 consegnata al Parlamento sottolineando che, se da un lato le organizzazioni investono sempre di più su "imprenditori e liberi professionisti", dall'altro puntano ad arruolare "operai comuni" e soggetti "in attesa di occupazione" nella fascia più giovane, quella tra i 18 e i 40 anni.

Nell'analizzare il fenomeno la Dia sottolinea come le mafie, nonostante "la forte azione repressiva dello Stato", continuino ad avere una "capacità attrattiva" sulle giovani generazioni, non solo nel caso di figli di boss o di ragazzi provenienti da famiglie mafiose ma anche e soprattutto quando queste fanno parte di un bacino molto più grande di "reclutamento generale" dal quale "attingere manovalanza criminale". Un bacino che continua ad essere alimentato dalle difficili condizioni sociali del sud: il reclutamento, dice infatti la Dia, "non appare certamente disgiunto da una crisi sociale diffusa che non sembra offrire ai giovani valide alternative per una emancipazione dalla cultura mafiosa".

In sostanza, le mafie riducono "sensibilmente l'iniziativa imprenditoriale lecita, approfittano dello stato di bisogno di molti giovani e speculano sulla manodopera locale, dando l'effimera sensazione di distribuire un salario (sempre minimo per generare dipendenza e senza garantire i contributi previdenziali e quindi un futuro) ai giovani impiegati al suo servizio perché privi di alternative". Concetti che i numeri esplicitano in maniera ancora più chiara: negli ultimi cinque anni non solo si sono registrati casi di 'mafiosi' con un'età tra i 14 e i 18 anni, ma gli appartenenti alle cosche tra i 18 e i 40 anni hanno raggiunto numeri quasi uguali a quelli della fascia tra i 40 e i 65 anni e, in un caso, lo hanno anche superato (nel 2015 i denunciati e gli arrestati per 416 bis sono stati 5.437 di cui 2.792 tra i 18 e i 40 anni e 2.654 tra i 45 e i 60). Tutte le indagini degli ultimi anni, spiegano gli investigatori, accanto ad una "modernizzazione" delle strategie criminali delle cosche, evidenziano non a caso "anche un sensibile abbassamento dell'età di iniziazione mafiosa". E portano alla luce anche un'altra serie di elementi su cui è necessario riflettere: la volontà delle nuove generazioni di affrancarsi dai vecchi boss, l'uso indiscriminato della violenza, l'ambizione di avere il giusto riconoscimento e di fare 'carriera' all'interno delle organizzazioni. "Una trasformazione della cultura mafiosa - dice la Dia - che investe anche il linguaggio, al passo con i tempi. Non tanto rispetto ai contenuti delle comunicazioni, sempre criptiche, imperative e cariche di violenza, quanto piuttosto per gli strumenti social utilizzati, che consentono di aggregare velocemente gli affiliati al sodalizio e, allo stesso tempo, di rendere più difficoltosa l'intercettazione dei messaggi".

La cupola di Cosa Nostra in crisi, con alcuni mandamenti contrari alla ricostituzione di un vertice centrale dell'organizzazione, in particolare sulla cosiddetta 'Commissione provinciale' a Palermo, che ha sempre rappresentato un punto di riferimento per le decisioni strategiche della mafia attinenti tutta la Sicilia. Secondo il rapporto, "la ricostituzione di questa struttura, dopo molti anni di inattività, non sembrerebbe auspicata da tutte le rappresentanze dei mandamenti, specie di quelli più attivi nella gestione delle attività economiche anche fuori dal territorio di competenza che, abituati ad agire quasi in autonomia, potrebbero soffrire la restrizione delle regole imposte dalla Commissione". I risultati delle indagini investigative evidenziano uno "scenario ancora in evoluzione, proprio in relazione alla ricostituzione della 'Commissione provinciale'".

Il superlatitante Matteo Messina Denaro continuerebbe a "ricoprire, sebbene con progressiva difficoltà, il duplice ruolo di capo del mandamento di Castelvetrano e di rappresentante provinciale di Cosa nostra". Nel rapporto viene ricordato che "l'organizzazione mafiosa trapanese sta subendo un'incessante e sempre più pressante attività di contrasto, prioritariamente finalizzata alla cattura del noto latitante Matteo Messina Denaro. Un'azione che passa innanzitutto per la disarticolazione del reticolo di protezione di cui lo stesso gode da decenni e che viene sviluppata sia sotto il profilo delle indagini giudiziarie, con i conseguenti numerosi provvedimenti restrittivi, sia sotto quello delle investigazioni preventive, realizzate con numerosi e consistenti provvedimenti di sequestro e confisca". Nonostante tutto, "pur attraversando momenti di criticità, l'organizzazione criminale non presenta segnali di cambiamento organizzativi, strutturali o di leadership".

Dall'analisi degli investigatori della Dia, emerge nella Capitale "uno spaccato importante della capacità della 'ndrangheta di infiltrarsi, dissimulando le proprie tracce, nel territorio romano", si legge nel rapporto dell'ultima Relazione Semestrale della Dia, in particolare in un focus dettagliato sulla "Criminalità Organizzata romana", secondo cui, "proprio questa sua capacità mimetica rende difficile tracciare una mappatura esatta della presenza sul territorio della Capitale". Diversi sono i riferimenti a vari esponenti di cosche crotonesi, reggine e cosentine. Queste ultime - che hanno referenti delle 'ndrine di San Luca Pelle, Pizzata e Strangio e dei Muto di Cetraro - sarebbero "specializzate nell'usura, nelle estorsioni, nelle rapine, nel traffico di stupefacenti ed armi, avvalendosi anche del supporto di pregiudicati romani".

L'operatività di Cosa Nostra nella Capitale si fonda "su un'azione tesa all'infiltrazione dell'economia e della finanza e al condizionamento della pubblica amministrazione (funzionale soprattutto al controllo dei pubblici appalti), grazie ad una forte capacità relazionale" - si legge nel rapporto, secondo cui, "la mafia siciliana mira ad occupare i mercati legali attraverso logiche manageriali volte a massimizzare i profitti e a ridurre al minimo i rischi, 'intossicando' i circuiti legali con immissioni di 'denaro sporco' e alla ricerca di "collaborazioni esterne per instaurare rapporti di scambio con ambienti politico-istituzionali". La Dia cita "l'esistenza di una struttura di natura reticolare che tende ad infiltrare i luoghi del potere decisionale ed economico, e nel cui ambito i singoli sodalizi ora stringono alleanze funzionali all'ottenimento di obiettivi puntuali, ora possono, ma più di rado, entrare in conflitto. L'atteggiamento violento, infatti, permane come una forma di "capitale quiescente", pronto all'occorrenza ad esplodere se vengono minacciati gli interessi delle consorterie".

A Napoli si diffondono gli episodi "riprovevoli e violenti" commessi dalle cosiddette baby gang, "espressione di una vera e propria deriva socio-criminale". La Direzione investigativa antimafia parla di azioni connotate spesso da "ingiustificata ferocia", che sfociano in episodi di bullismo metropolitano e atti vandalici. Spesso si tratta di gruppi composti da ragazzi considerati a rischio di devianza per problematiche familiari o perché cresciuti in contesti che non offrono momenti di aggregazione sociale: fattori che concorrono ad un percorso di arruolamento nelle fila delle consorterie criminali. I minori, infatti, sottolinea la relazione, "rappresentano un 'esercito' di riserva per la criminalità, da impiegare, in particolare, nelle attività di spaccio delle sostanze stupefacenti ove, come più volte emerso dalle attività investigative, partecipano persino i bambini", che vengono impiegati come 'pony express' per le consegne a domicilio.

In linea generale si è assistito alla progressiva scomparsa dei capi carismatici di camorra il cui ruolo è stato assunto da familiari o elementi di secondo piano, che non sempre hanno mostrato pari capacità nella guida dei gruppi criminali. Di fronte ai rapidi mutamenti dei contesti locali e per affermarsi come protagonisti, evidenzia la Dia, "questi giovani delinquenti hanno spesso fatto ricorso ad azioni violente". In alcune zone, pregiudicati poco più che adolescenti si sono infatti posti a capo di gruppi emergenti, tentando di assumere il predominio nel controllo del territorio e degli affari illeciti, in particolare delle piazze di spaccio, delle attività estorsive ai danni degli esercizi commerciali e dei fiorenti mercati della contraffazione, con azioni connotate da notevole aggressività, con omicidi, attentati e sparatorie.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA