(di Lara Sirignano)
Giornalista da 30 anni nella terra
dell'ultimo grande latitante di Cosa nostra, Matteo Messina
Denaro. Rino Giacalone ha 56 anni e da sempre fa il cronista. A
La Sicilia fino al 2011, poi per una serie di periodici locali,
infine per il Fatto e la Stampa. Separato, due figlie e una
pioggia di querele firmate da parenti di boss come la sorella e
il cognato del padrino di Castelvetrano, nel 2016 ricevette un
bigliettino che non lasciava spazio a dubbi: "fai puzza di
morto, non hai capito un c... Smettila di scrivere", le parole
di un mittente sempre rimasto ignoto.
Giacalone, però di smettere non ha alcuna intenzione. E
continua a raccontare processi e fatti di cronaca della sua
terra. Con una particolare attenzione a Cosa nostra, alla
massoneria deviata e alle sue infiltrazioni nella politica e
nell'economia.
Ampi stralci delle sue inchieste sono state riportate nel
provvedimento di scioglimento per infiltrazioni mafiose del
Comune di Castelvetrano, paese di Messina Denaro, nel 2017.
Giacalone ha cominciato come giornalista tv a Tele Scirocco,
una emittente locale. Poi l'approdo a La Sicilia. "Nel 2011
decisi di dimettermi - racconta - perché erano subentrate
divergenze nella visione della professione con i colleghi". Da
allora il giornalismo è diventato la sua seconda professione
perché è tornato al suo impiego antico all'Istituto Autonomo
Case Popolari. "Ma non ho mai smesso di scrivere", dice
precisando con ironia di non essere "un professore di mafia ma
un giornalista che racconta quel che vede".
Dal 2016 per il mensile Esse ha fatto una serie di
approfondimenti su mafia e massoneria. E dalle pagine dei social
ha cominciato a raccontare le storie di una città inventata
"Gommopoli" che tanto ricorda la sua Trapani. I nomi dei
protagonisti sono inventati, ma chi conosce la realtà riconosce
uomini e cose senza difficoltà. "Ho sempre scritto tutto quel
che ho saputo sia direttamente, grazie ai miei contatti, che
basandomi sul lavoro dei magistrati", dice. Spesso attirandosi
ire. Patrizia Messina Denaro, la sorella del boss e Rosario
Allegra, il cognato, l'hanno querelato per diffamazione. Idem
moglie e figlie del capomafia Mariano Agate che Giacalone,
prendendo in prestito le parole di Mauro Rostagno, giornalista e
sociologo ucciso dalla mafia, definì "un gran pezzo di m...".
Parole per cui il pm ne ha chiesto la condanna a 4 mesi. Assolto
in tribunale, la Cassazione ha annullato il verdetto: sulla
vicenda pende un nuovo processo.
Giacalone non ha mai avuto la scorta. Dopo aver denunciato le
intimidazioni gli è stata assegnata una vigilanza dinamica. "Sia
l'Assostampa che l'Ordine mi sono stati vicini - dice - Quel che
mi è sempre mancato, in realtà, è la solidarietà dei colleghi
trapanesi. Qui la realtà dei cronisti è un po' particolare: io
sono l'unico che va in procura e mantiene rapporti coi pm.
Perché in genere si parla solo con i difensori degli imputati".
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