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Legambiente, canoni irrisori per cave ma ricavi a 3 mld

Regioni hanno perso 3,5 mld in 10 anni

Redazione ANSA ROMA

La crisi dell'edilizia degli ultimi anni in Italia ha ridotto il numero di cave attive (-20,6% rispetto al 2010) a 4.752 ma restano rilevanti i guadagni per chi estrae materie prime: 3 miliardi di euro all'anno per la vendita di inerti e pietre ornamentali a fronte di canoni di concessione irrisori (2,3% di media del prezzo di vendita di sabbia e ghiaia cioè 27,4 milioni a fronte di 1.051 milioni di volume d'affari). E in alcune regioni la concessione è gratis, come in Valle D'Aosta, Basilicata e Sardegna o vale solo qualche centesimo come nel Lazio o in Puglia. E' quanto emerge dal Rapporto Cave 2017 di Legambiente che indica una crescita record per il prelievo e la vendita di materiali lapidei di pregio, con esportazioni in aumento (2 miliardi di euro nel 2015), mentre si riduce il lavoro in Italia nel settore.

Se fossero applicati i canoni in vigore nel Regno Unito (20% del valore di mercato) - spiega Legambiente - si recupererebbero 545 milioni di euro all'anno di incassi per le Regioni che, secondo una stima dal primo Rapporto Cave del 2009, avrebbero perso canoni per oltre 3,5 miliardi.

In nove Regioni, spiega il Rapporto, non sono in vigore piani cava e le regole risultano quasi ovunque inadeguate a garantire tutela e recupero delle aree. In Italia "si continua a scavare troppo e con impatti devastanti sull'ambiente (dalle Alpi Apuane alle colline di Brescia, da Trapani a Trani)" osserva Legambiente secondo cui "la strada del riciclo, malgrado la spinta delle Direttive europee, è ancora molto indietro".

La sfida dell'economia circolare riguarda anche il mondo delle attività estrattive, afferma Legambiente: è "possibile ridurre il prelievo di materiale e l'impatto delle cave nei confronti del paesaggio, dare una nuova vita ad una cava dismessa e percorrere la strada del riciclo degli aggregati".

Le cave dismesse, secondo il Rapporto, sono 13.414 nelle Regioni in cui esiste un monitoraggio ma aggiungendo quelle non censite delle regioni Friuli Venezia Giulia, Lazio e Calabria si potrebbe arrivare a 14mila.

Legambiente sottolinea la mancanza di piani cava in Veneto, Abruzzo, Molise, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Calabria, Pr. Bolzano, Basilicata e Piemonte (dove sono previsti Piani Provinciali), mentre nella maggior parte delle Regioni sono inadeguati i vincoli di tutela e mancano obblighi di recupero contestuale delle aree. Per Legambiente l'assenza dei piani è particolarmente preoccupante, perché si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l'autorizzazione in Regioni dove è forte il controllo da parte della criminalità organizzata.

L'associazione ambientalista ricorda che l'ultimo intervento normativo dello Stato nel settore risale al 1927 è il regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927, "ma è evidente che senza un controllo dell'operato delle Regioni la situazione è insostenibile sia in termini di tutela del territorio, che di controllo della legalità e di riduzione del prelievo da cava. Peraltro le Direttive europee prevedono che entro il 2020 il recupero dei materiali inerti dovrà raggiungere quota 70%".

Dal Rapporto emerge che ogni anno vengono estratti 53 milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia, materiali fondamentali nelle costruzioni, 22,1 milioni di metri cubi di calcare e oltre 5,8 milioni di metri cubi di pietre ornamentali. La Lombardia è la prima regione per quantità cavata di sabbia e ghiaia, con 19,5 milioni di metri cubi estratto; seguono Puglia (con oltre 7 milioni di metri cubi), Piemonte (4,8 milioni), Veneto (4,1) ed Emilia-Romagna con 4 milioni circa. Per quanto riguarda le pietre ornamentali, le maggiori aree di prelievo sono: Sicilia, Provincia Autonomia di Trento, Lazio e Toscana che insieme costituiscono il 53,4% del totale nazionale estratto. Le Regioni che invece cavano più calcare sono Molise,Lazio, Campania, Umbria, Toscana e Lombardia che superano singolarmente quota 1,5 milioni di metri cubi.

Puntando su riciclo, adeguamento delle tariffe e tutela del territorio si può ridurre il numero delle cave e aumentare il lavoro suggerisce Legambiente per rilanciare il comparto delle attività estrattive con prospettive di crescita per il settore edile. "Occorre promuovere una profonda innovazione nel settore delle attività estrattive - ha detto il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini - dove non è utopia pensare di avere più imprese e occupati nel settore, proprio puntando su tutela del territorio, riciclo dei materiali e un adeguamento dei canoni di concessione ai livelli degli altri Paesi europei.

La sfida per i materiali di pregio è di mantenere in Italia le lavorazioni dei materiali, dove il tasso di occupazione è più alto. Mentre per gli inerti - ha proseguito - l'obiettivo è di spingere la filiera del riciclo, che garantisce almeno il 30% di occupati in più a parità di produzione, e che può garantire prospettive di crescita molto più importanti e arrivare a interessare l'intera filiera delle costruzioni. Ma per realizzare ciò servono delle scelte e delle politiche chiare da parte di Governo e Regioni". In sostanza, Legambiente suggerisce di rafforzare la tutela del territorio e della legalità attraverso una Legge quadro nazionale che stabilisca le aree in cui l'attività di cava è vietata e obblighi il recupero contestuale delle aree e la valutazione di impatto ambientale; stabilire un canone minimo nazionale per le concessioni di Cava per equilibrare i guadagni pubblici e privati e tutelare il paesaggio; ridurre il prelievo da cava attraverso il recupero degli inerti provenienti dall'edilizia, per andare nella direzione prevista dalle Direttive Europee e riuscire così ad aumentare il numero degli occupati e risparmiare la trasformazione di altri paesaggi.

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