Non è l'olio di palma a distruggere la biodiversità, quanto la gestione di qualsiasi coltura, si tratti di grano o di soia. A parlare è Pierre Bois d'Enghien, agronomo ed esperto ambientale belga, che ha lavorato per molti anni nelle piantagioni e nello sviluppo agricolo in Africa; oggi è impegnato come auditor dell'organizzazione internazionale Rspo (Roundtable on Sustainable Palm Oil), che garantisce la sostenibilità di tutta la filiera dell'olio di palma. L'agronomo ricorda che sono molti i paesi produttori di olio di palma fortemente impegnati a garantire la biodiversità e la protezione delle foreste, a partire dalla Malesia, che tutela oltre il 50% della sua superficie. ''E' un impegno ambientale molto positivo, che nessun paese europeo, compresa l'Italia in proporzione, può eguagliare'', spiega Bois d'Enghien, nel sottolineare che proprio in Italia è stato creato un forte malinteso sull'olio di palma, coltura straordinaria in quanto produce fino a 10 volte in più di altre oleaginose come la soia e richiede anche molto meno risorse. Stando agli ultimi dati, l'agronomo ricorda che la produzione di 1 tonnellata di olio di soia necessita di una quantità di terra 10 volte superiore a quella per produrre la stessa quantità di olio di palma, 6 volte in più di energia e circa 15 volte in più di pesticidi; ed è per questo che la palma da olio ha di fatto un impatto ambientale molto più basso rispetto alle altre colture. In base ad un recente studio commissionato dalla Ue, il belga ricorda che ''la soia è responsabile del doppio della deforestazione contenuta nei prodotti di consumo rispetto all'olio di palma e nonostante questo, è proprio quest'ultimo ad essere discriminato''.