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Responsabilità Editoriale Gruppo Italia Energia

Ppa: “C’è ancora molto da fare”

La lentezza degli iter autorizzativi, la gestione dei rischi (compreso quello regolatorio), la bancabilità. La via dei contratti standard, l’opzione dei Prs e il possibile ruolo pubblico (articolo di Quotidiano Energia)

Quotidiano Energia - Nel 2018 a livello mondiale i MW contrattualizzati tramite Ppa sono stati 13.400, oltre il doppio del 2017, ci dice Bnef. Eppure in Italia i contratti a lungo termine per le rinnovabili stentano ad affermarsi, tra lentezza degli iter autorizzativi degli impianti, complessa gestione dei rischi (compreso quello regolatorio) e difficoltà a coinvolgere i finanziatori. 

“Noi abbiamo concluso parecchi Ppa all’estero, soprattutto in Spagna e nei Paesi scandinavi, ma in Italia abbiamo una certa difficoltà, qualcosa deve cambiare”. Le parole, pronunciate in occasione del convegno “Ppa: una nuova cultura dell’energia” organizzato da Sorgenia, sono di Simone Rodolfi, head of origination and business development di Axpo. Paradossalmente una delle poche società che nel nostro Paese qualcosa ha concluso.

“Quello con European Energy su 300 MW fotovoltaici – ha spiegato l’esponente del gruppo svizzero – è un framework agreement che prevede la sottoscrizione di una serie di Ppa per ogni singolo impianto. Stiamo cercando di coinvolgere di più il mondo bancario con l’obiettivo di aprire una pipeline da 1 GW. Ma se a livello Paese vogliamo fare 30 GW in 10 anni c’è molto da lavorare”.

Che cosa fare, quindi? Il dibattito, introdotto dall’a.d. di Sorgenia Gianfilippo Mancini e concluso dal responsabile strategie di Terna Luigi Michi, ha portato innanzitutto a individuare i principali nodi.

Tra questi c’è senza dubbio la lentezza delle procedure autorizzative. Luca Matrone, global head of energy di Intesa SanPaolo, ha affermato che in base alle richieste che stanno pervenendo alla banca è prevedibile un primo sviluppo di progetti “dal terzo/quarto trimestre del 2019”. Meno ottimista Rodolfi: “spero che nella seconda metà del 2019 si sblocchino le autorizzazioni ma secondo me prima di fine 2020/inizi del 2021 non vedremo impianti pronti a produrre”.

Poi ci sono i temi connessi all’allocazione del rischio: quello legato al prezzo (seppure non considerato tra i più problematici dalla gran parte dei relatori), al volume, al profilo di produzione dell’impianto e poi quello regolatorio. Che “nessuno si vuole prendere”. Per esempio, ha rimarcato Claudio Moscardini, head of generation and energy management di Sorgenia, “se al 2030 salta l’Emission trading scheme e si decide di passare a una logica carbon tax le cose cambiano radicalmente”.

Lorenzo Parola, partner di Paul Hastings, ha posto sul tavolo una possibile parziale soluzione al problema dell’allocazione del rischio: il contratto Proxy Revenue Swap. Peraltro appena utilizzato da Enel per il mega parco eolico da 450 MW in Texas. Una tipologia contrattuale che, tramite anche il coinvolgimento di società assicurative (in questo caso Allianz), consente di coprire il rischio legato alla relazione tra prezzo orario dell’energia e volumi generati oltre al rischio relativo alle variazioni nei volumi e prezzi.

“Anche noi con Allianz abbiamo siglato in Australia un Prs su 300 MW solari”, ha spiegato Matrone di Intesa. Ma da noi questa soluzione non sembra facilmente percorribile. “Ci vorrà un po’ di tempo, magari nel momento in cui ci sarà più interesse sui corporate Ppa”, ha sottolineato Rodolfi.

Il fatto è che per venire incontro alle esigenze peculiari della domanda garantendo al contempo la prevedibilità necessaria alle banche per finanziare i progetti serve “una gestione intelligentemente flessibile dei Ppa”, come sottolineato da Stefano Cavriani, founder and managing partner di Ego.

D’altronde, nel riportare la propria esperienza in Spagna, il director di Foresight Group Carlos Rey ha spiegato che “è essenziale capire qual è l’obiettivo del singolo Ppa, nei quattro contratti siglati da noi non c’è una clausola uguale all’altra, ognuno ha le proprie esigenze”.

Ma allora non c’è spazio per i Ppa “standardizzati”? “In Europa – ha sottolineato Parola – ci sono i primi tentativi, con Efet che ha redatto una prima bozza al vaglio delle principali banche europee. E’ una sorta di ‘scheletro’ a cui allegare varie appendici (di cui una per l’Italia). Però ci vorrà qualche anno, perché le esigenze sono molto diverse”.

E se per i trader la standardizzazione “è il peggior incubo”, come rimarcato da Rodofli di Axpo, per Matrone di Intesa “standardizzare pienamente sarà molto difficile”. E d’altronde per la banca “non ci sono preclusioni” verso forme di flessibilità, purché “il quadro complessivo tenga sul fronte del rischio credito”.

E l’ipotesi di una garanzia pubblica? “Per noi sarebbe certamente meglio sotto il profilo creditizio – rimarca Matrone - ma non credo che sia la soluzione. A quel punto meglio ampliare il meccanismo delle aste”.

Anche dai tre operatori arriva una sostanziale opposizione a un ruolo troppo invadente del pubblico. Per Moscardini di Sorgenia si può al massimo pensare a “un intervento limitato ai minimi termini, come paracadute last resort”. Mentre Cavriani di Ego, pur arduo sostenitore del mercato per le Fer, fa una piccola apertura “in una prima fase iniziale”, ricordando però che “si tratta di creare un incentivo implicito o esplicito”.