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Responsabilità Editoriale Gruppo Italia Energia

La corsa contro il tempo per salvare il Mar Cinese Orientale

Un'analisi dell'espansione del greggio

e7, il settimanale di QE - “Correnti superficiali che vanno in direzione Est/Nord-Est portano la macchia di petrolio verso le coste giapponesi di Kagoshima, Yakushima e Okinawa. Alcune parti, inoltre, potrebbero essere trasportate dalle correnti più moderate verso Wenzhou e Xuanmen Bay e anche verso la costa settentrionale di Taiwan”. Ipotizzando che la direzione delle correnti resti stabile, si può pensare che la macchia possa raggiungere la costa nipponica, distante 1.000 km, “in venticinque giorni”. Inoltre, bisogna tenere conto delle correnti non superficiali che potrebbero allargare ulteriormente gli effetti di dispersione del petrolio.

Sono alcune delle analisi fornite dalla società internazionale di ricerca Meteo Group a e7 sulla chiazza di petrolio creatasi al confine tra il mar Giallo e il mar Cinese Orientale il 6 gennaio, dopo che la petroliera Sanchi della National Iranian Tanker Company è entrata in collisione con un mercantile a 160 miglia da Shanghai, creando una chiazza di idrocarburi estesa per circa 100 km². La nave trasportava 136.000 tonnellate di petrolio destinate alla Corea del Sud.

“Sotto i nostri occhi si sta svolgendo un disastro ambientale: la petroliera Sanchi, infatti, sta perdendo il suo carico tossico per i mammiferi marini, i pesci, le tartarughe e gli uccelli marini”, ha commentato Ghislaine Llewellyn, Vicedirettore della Ocean Practice del WWF. L’associazione, dunque, “chiede una mobilitazione urgente di tutti i mezzi di contenimento disponibili e ridurre la minaccia che rappresenta per la vita marina. Il Mar Giallo è uno degli ambienti più ricchi e produttivi del pianeta ed è caratterizzato da un fondale relativamente poco profondo e quindi molto vulnerabile allo sversamento prodotto da questo disastro. È una corsa contro il tempo per contenere la chiazza tossica e impedire che contamini pesci, molluschi e uccida la vita marina. Quello che è accaduto non può che ricordarci, ancora una volta, quali e quanto pericolosi siano i rischi intrinseci legati ai combustibili fossili, al loro trasporto e al loro uso”.

Dello stesso avviso anche l’associazione Marevivo, per la quale urge rafforzare i sistemi di sicurezza della navigazione e migliorare la formazione dell’equipaggio. Inoltre, quello cinese è un incidente “che si sarebbe potuto evitare se si investisse sulle fonti rinnovabili e ci fossero più controlli sul traffico marittimo”. Dunque, si chiede “che tutti i Paesi si facciano carico di provvedimenti che affrontino il rischio connesso alla navigazione di carichi pericolosi e inquinanti: a partire dagli Stati dei mari chiusi come il Mediterraneo. In questi giorni Confitarma ha pubblicato un confortante report secondo cui negli ultimi dieci anni i sinistri navali nel Mare Nostrum sono diminuiti nettamente (anche se i due più importanti, quello della Costa Concordia e della Norvegian, hanno fatto aumentare il numero dei morti): significa che con oculate politiche di controllo alla navigazione e con una maggiore preparazione degli equipaggi il trend può migliorare”.

Il fattore umano nel disastro ambientale

“Le petroliere sono soggette a controlli continui dal punto di vista tecnico e strutturale. Devono tenere conto delle norme internazionali e di varie forme di ispezione accuratissime data l’accresciuta sensibilità ambientale. Dunque non tenere le navi in ordine non è conveniente dato il danno che provoca un eventuale fermo”. A spiegarlo a e7 è Fabio Faraone, Capo servizio tecnica navale, sicurezza e ambiente di Confitarma, con il quale abbiamo provato a capire meglio l’episodio della collisione avvenuta tra la petroliera Sanchi e un mercantile il 6 gennaio nel mare Cinese. In particolare, “dal punto di vista tecnico, per navi di questa tipologia non ci può essere un’associazione con le cosiddette carrette del mare”.

Quindi qual è la sua opinione sull’accaduto?

Le informazioni in nostro possesso sono quelle date dai media, non trattandosi di un’imbarcazione battente bandiera italiana. Alla base di questo sinistro c’è quella che ormai è la prima causa di questi episodi, cioè l’errore umano, considerando anche che si tratta di una nave del 2008, quindi non vecchia. Le nostre navi oggi hanno tutte specifiche tecniche avanzate, come nel caso del doppio scafo, di cui anche la Sanchi era dotata.

Sono episodi meno rari di quanto si possa pensare?

Non accade solo nel trasporto marittimo. Recentemente è deragliato un treno negli Stati Uniti perché erano stati superati i limiti di velocità. A livello tecnico le navi rispondono alla normativa dell’International Maritime Organization (IMO), poi le procedure vanno seguite.

Quindi un incidente del genere poteva accadere ovunque, anche nel Mediterraneo?

Certamente, il fattore umano vale dappertutto. Però si può innalzare l’allerta in una zona di traffico intenso. Per fare un esempio pratico, ricordo che da giovane un comandante mi raccontava che nello stretto di Messina, dove c’è un accordo che prevede il senso di passaggio, nonostante i radar e la tecnologia aveva un nostromo in plancia che controllava il mare. Si tenga conto, inoltre, che il 60% delle navi italiane ha meno di nove anni e che ci sono norme sulla condotta dell’imbarcazione e sulla formazione degli equipaggi.

Come si può intervenire sul fattore umano? Inoltre, si prospettano navi senza la guida fatta da una persona come avviene già per le auto?

Per il prossimo futuro si parla di navi senza equipaggio ma siamo in una fase del tutto sperimentale. Sul fattore umano serve controllo sulla condotta e coscienza.

Il Mediterraneo si può dire un mare sicuro per la navigazione?

Sì, non mi risultano grandi collisioni e si pensi che il Golfo di Napoli ha un traffico secondo solo a quello di Hong Kong.