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Boss risarcito per ingiusta detenzione, invece ha ucciso. E non potrà più essere processato

Dalle rivelazioni dei pentiti fu lui l'autore dell'omicidio di un immigrato

Assolto con sentenza definitiva da un'accusa di omicidio per la quale era finito in carcere, ottenne dallo Stato un risarcimento di 290mila euro per ingiusta detenzione. Ora per quel delitto viene nuovamente chiamato in causa da due collaboratori di giustizia, ma non potrà essere più processato in applicazione del principio del ''ne bis in idem'' (non si può essere giudicati due volte per lo stesso reato). E' quanto emerge dall'inchiesta della Dda di Napoli che ha portato oggi alla notifica di una ordinanza di custodia in carcere nei confronti di A. E., 39 anni, ritenuto un boss del narcotraffico che controlla le piazze di spaccio di Maddaloni, in provincia di Caserta.

E., che già si trovava in carcere per l'omicidio di uno spacciatore che voleva mettersi in proprio e non versargli più le percentuali "dovute", è destinatario di uno dei 19 provvedimenti restrittivi eseguiti oggi dalla polizia nei confronti di persone ritenute legate al "Clan Belforte - fazione Maddaloni". Associazione a delinquere finalizzata al traffico ed alla commercializzazione di stupefacenti aggravata dal metodo mafioso sono le nuove accuse contestate a conclusione delle indagini coordinate dal procuratore aggiunto della Dda Luigi Frunzio e dal pm Luigi Landolfi. Le indagini furono avviate dopo l'uccisione - attribuita ad Esposito - dello spacciatore Daniele Panipucci.

Dalle intercettazioni telefoniche e ambientali e dalle dichiarazioni di due pentiti, oltre al ruolo di vertice rivestito da E. all'interno dell'organizzazione si è delineata anche la sua presunta responsabilità per l'omicidio del 28enne immigrato albanese Meta Sejmir, ucciso con un colpo di pistola alla nuca davanti a un bar di Maddaloni il 19 febbraio 2005. A. E., insieme con due complici, fu arrestato poche ore dopo l'agguato dai carabinieri: secondo la ricostruzione degli inquirenti, aveva ammazzato l'immigrato nel corso di una lite per futili motivi, scoppiata mentre giocavano alle slot-machine. In primo grado la Corte di Assise gli inflisse 28 anni di reclusione. Ma in appello la sentenza fu ribaltata; a determinare l'assoluzione fu la ritrattazione di un testimone.

Anche la Cassazione confermò l'assoluzione. E grazie alla sentenza passata in giudicato, non sono utilizzabili per un nuovo processo le accuse mossegli dai nuovi pentiti, tra cui vi sarebbe anche l'uomo al quale Esposito consegnò la pistola calibro 9 utilizzata per ammazzare l'albanese. Per l'ingiusta detenzione - durata circa quattro anni - ad E. è stato riconosciuto un risarcimento di 290mila euro. Una somma della quale difficilmente lo Stato potrà ritornare in possesso: tra gli esperti di diritto prevalgono infatti quanti ritengono che, fermo restando l'impossibilità di riaprire il processo penale, non si possa intervenire neppure sulle conseguenze civilistiche della sentenza definitiva di assoluzione.

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