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Libano: Sabra e Shatila, massacro '82 fu solo l'inizio

A 30 anni dall'eccidio, campo meta palestinesi in fuga da Siria

18 settembre, 18:58

(di Lorenzo Trombetta) (ANSA) - BEIRUT, 18 SET - Il massacro di Sabra e Shatila compiuto trent'anni fa dalle milizie libanesi cristiane con l'assenso e l'appoggio dell'esercito israeliano fu solo l'inizio di un lungo calvario dei due campi profughi di Beirut, oggi sempre meno popolati da palestinesi, ma meta di centinaia di "fratelli" in fuga dalla Siria in guerra.

Dei 13mila abitanti di Shatila soltanto una minoranza sono palestinesi, comunità di più di 400.000 persone sparse nei 12 campi profughi ufficiali e private dei diritti essenziali. Dei palestinesi di Shatila solo una piccola parte è costituita dai "figli del massacro": il campo è ormai abitato per lo più da libanesi sciiti, fuggiti dal sud del Paese durante le varie fasi dell'invasione israeliana (1978-2000), e da operai siriani in cerca di affitti più a buon mercato.

Le tensioni non mancano. Gli sciiti sono identificati con la milizia Amal, alleata di Damasco e responsabile, tra il 1985 e il 1987, di un altro massacro a danno dei palestinesi, volutamente occultato dalla storiografia ufficiale ma ben presente nelle memorie degli abitanti "originari" di Shatila.

Allora morirono circa 500 persone e l'80% degli edifici fu raso al suolo.

L'anno dopo fu la volta dell'assedio portato dagli uomini di Abu Mussa, leader palestinese della fazione Fatah-Intifada, prestatosi al servizio di Damasco per prendere il controllo del campo.

Come ricorda Hala Abou Zaki, studiosa libanese della questione della memoria dei campi, nonostante le tragiche vicende di Sabra e Shatila siano proseguita dopo il settembre 1982, questi luoghi sono pressoché associati esclusivamente all'invasione israeliana del 1982. "Il massacro è diventato il prisma attraverso il quale gli osservatori stranieri conoscono il campo, la sua storia e la memoria dei suoi abitanti".

Con l'afflusso dei loro "fratelli" siriani, il campo è oggi costretto ad ascoltare altre storie di altri crimini, commessi nella vicina Siria contro altri civili. Profughi tra i profughi, i palestinesi di Yarmuk di Damasco, pesantemente colpito dai bombardamenti governativi, sono fuggiti a migliaia nel vicino Libano.

Secondo l'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), sono almeno 3.000 quelli usciti dalla Siria e sparsi tra Beirut, il porto meridionale di Sidone e la valle orientale della Bekaa.

"Si tratta però solo di quelli registrati dall'Unrwa", afferma Hoda al Turk, portavoce dell'agenzia Onu. La maggior parte di loro vengono dalla regione di Damasco.

Dal campo di Yarmuk giungono giornalmente notizie di morti, feriti e distruzione. Il campo ospitava circa 150mila palestinesi, discendenti dei primi profughi fuggiti dalla Palestina nel 1948. Moltissimi sono sfollati in altri quartieri di Damasco, altri sono giunti in Libano e cercano ospitalità tra i loro "fratelli" dei vari campi profughi presenti sul territorio.

Tra questi c'é l'agglomerato di Sabra e Shatila, da anni ormai inglobato nel tessuto urbano della periferia sud dominata da Hezbollah, il movimento sciita alleato dell'Iran e del regime siriano, che tenta di reprimere la rivolta scoppiata un anno e mezzo fa. Molti palestinesi di Yarmuk si erano uniti alle manifestazioni pacifiche represse nel sangue. Da queste violenze sono gradualmente nate all'incirca un anno fa le brigate armate della "resistenza".

Sul terreno, il campo si è spaccato: il Fronte per la liberazione Comando generale di Ahmad Jibril, da sempre con Damasco, nei mesi scorsi non ha esitato a sparare sulla folla che chiedeva di prendere le distanze dal regime. Dal canto suo, il movimento Hamas ha lasciato in silenzio la capitale siriana dopo anni di protezione ricevuta dagli Assad in nome della "resistenza anti-israeliana".

Questo slogan è il pilastro della retorica ufficiale con cui ogni anno si ricorda il massacro di Sabra e Shatila. La Croce Rossa documentò 1.000-1.500 uccisi mentre fonti palestinesi parlano di 3.000 morti. (ANSAmed).

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