"La prova testimoniale va
valutata, esiste e non è campata in aria". Così il procuratore
generale, Romolo Como, nella sua replica al termine delle
arringhe difensive nel corso del processo di appello alla
commissione grandi rischi, i cui sette esperti in primo grado
sono stati condannati a sei anni di reclusione con l'accusa di
aver falsamente rassicurato i cittadini aquilani al termine
della riunione del 31 marzo 2009 e sottovalutato il rischio
sismico a 5 giorni da quella che sarebbe stata la scossa
distruttiva del 6 aprile, causando la morte di una trentina di
loro.
"Sono state rese testimonianze dirette perché i parenti
vivevano accanto alle vittime - ha continuato il Pg -. Quindi
non hanno riferito parole per sentito dire né il derelato".
Como ha bacchettato le difese degli imputati: "Penso un po'
all'antica ma certi termini che ho sentito sulla sentenza sono
inaccettabili: 'sentenza raccapricciante, squinternata, non
potrebbe leggere giudizio di legittimità in Cassazione'. Ci sono
state critiche esterne, convegni, anche da parte di colleghi, ma
devono rimanere fuori dal processo in corso. Si è arrivati a
definire criminale il comportamento di qualche giornalista che
più o meno correttamente faceva il suo lavoro ma sembra quasi
sia colpa loro delle morti delle persone".
Nel sottolineare che "se la sentenza di primo grado ha una
colpa è stata quella di voler analizzare troppo a fondo alcuni
profili giuridici", Como ha spiegato che "mi hanno rimproverato
di aver detto che si trattava di quattro amici al bar". "Ma se
lo avessi detto avrei dovuto chiedere l'assoluzione - ha
continuato -. Non lo erano, erano la commissione Grandi rischi e
siamo qui per questo motivo. Dello scarico di energia si è
parlato in presenza di tutti". Secondo il Pg, c'è stato "un
atteggiamento di superficialità di fronte alla conoscenza del
rischio sismico che invece tutti riconoscono".
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